Afranio, phagotista virtuoso

Scritto da  Camilla Cavicchi

Maestro dei Dodici Apostoli, Giacobbe e Rachele al pozzo, Ferrara, Pinacoteca Nazionale, legato della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara.Scene di vita musicale alla corte estense.

Poco più di un anno fa le pagine di questa rivista ospitavano la presentazione di alcune opere pittoriche d'ambito ferrarese recuperate e acquistate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara.

Tra gli altri veniva pubblicato un curioso dipinto attribuito al Maestro dei Dodici Apostoli, che a tutt'oggi si è rivelato una documentazione d'eccezione per la conoscenza di alcuni aspetti della cultura musicale del primo Cinquecento ferrarese. Il quadro intitolato Giacobbe e Rachele al pozzo fu realizzato negli anni 1530-1540 e raffigura, come ha spiegato Maria Grazia Agostini, una scena pastorale tratta dall'Antico Testamento (Genesi 29. 1-10).


L'intero dipinto è ricco di raffinati dettagli, dai piccoli animali ai particolari del vestiario, alle scene di fondo, ma ciò che qui sorprende è la particolare scelta di strumenti musicali proposta dall'autore. Egli non raffigura i tradizionali attributi musicali dei pastori, da sempre zampogna e ciaramella; si orienta piuttosto su uno strumentario aulico e alla moda, assai vicino all'ideale mondo bucolico di egloghe e intermedi a soggetto pastorale, così favoriti proprio dalla pratica teatrale presso la corte dei duchi d'Este.

Il dettaglio del dipinto, con il phagotus.Tre sono gli strumenti musicali riconoscibili: in secondo piano a sinistra la tastiera di un cordofono della famiglia della viola da mano; al centro della tela, infilato nella cinta del pastore inginocchiato di spalle, un cromorno soprano (un aerofono ad ancia doppia incapsulata); in primo piano, a terra sulla sinistra, un phagotus. Soprattutto la presenza di quest'ultimo strumento musicale costituisce un indizio documentario di grande originalità.

Il phagotus fu un particolare tipo di aerofono ad ancia doppia, che ispirandosi alla meccanica della zampogna permetteva al musicista di realizzare musica polifonica con svariate possibilità timbriche e dinamiche. Il suo funzionamento era piuttosto articolato: il musicista legava un piccolo mantice sotto il braccio destro, che comprimeva aria in una sacca fissata a sua volta al braccio sinistro; da qui si regolava l'accesso di aria nel canneggio vero e proprio, costituito da due grosse colonne in legno tornito, collegate tra loro e dotate di numerose chiavi.

Nel dipinto Giacobbe e Rachele al pozzo tutti questi elementi sono perfettamente rintracciabili, grazie alla perizia calligrafica dell'autore: le due colonne magistralmente tornite con le chiavi d'argento, il piccolo mantice quadrato in legno e cuoio, la sacca rossa, le corregge per assicurare lo strumento al corpo del suonatore e molti altri particolari.

Il phagotus fu ideato da Afranio degli Albonesi da Pavia, un canonico al servizio del cardinale Ippolito I d'Este e passato, alla morte di questi, nel 1520, al servizio del duca Alfonso I. La storia dell'invenzione e l'immagine dello strumento, l'unica che si conosceva prima della pubblicazione del dipinto del Maestro dei Dodici Apostoli, fu tramandata dal nipote di Afranio, Teseo Ambrogio degli Albonesi, nella sua Introductio in Chaldaicam linguam (Pavia, Simoneta, 1539). Lo strumento secondo Teseo Ambrogio venne compiuto a Ferrara attorno al 1521 con la collaborazione dell'abile tornitore di corte Giovanni Battista Ravilio, al termine di una serie di sperimentazioni che si erano sempre rivelate non troppo fortunate.

Il phagotus nelle pagine della Introductio in Chaldaicam linguam di Teseo Ambrogio degli Albonesi, (Pavia, Simoneta, 1539).Negli anni in cui Afranio era dedito alle sperimentazioni con il phagotus, il cardinale Ippolito I d'Este aveva organizzato una vera e propria fucina musicale, dove i più abili organari del tempo, come Lorenzo Gusnasco e Giovanni Battista Facchetti, erano impegnati nella realizzazione di strumenti raffinati, elaborati e dalle nuove possibilità musicali; si costruivano organi, claviorgani, clavicembali, viole da gamba e liuti di ogni tessitura, cornetti e serpentoni.

Nei libri amministrativi del cardinale Ippolito I d'Este esiste una ricca documentazione sulla costruzione del phagotus sin dal 1516, che risulta però legata ai nomi di Gerardo Franzoso e Janes de Pre Michele, tra i primi suonatori di questo particolare strumento, e mai al nome del canonico pavese. Si può quindi ipotizzare che Afranio degli Albonesi più che inventare il phagotus abbia elaborato uno strumento da tempo in uso a Ferrara, con caratteristiche meccaniche simili, e lo abbia poi perfezionato nella forma che oggi conosciamo.

Non ci sono dubbi, infatti, che lo stesso Afranio fosse un virtuoso phagotista. La sua abilità in qualità di strumentista venne immortalata nel celeberrimo trattato Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale di Cristoforo da Messisbugo (Ferrara Buglhat-Hucher, 1549). Nel maggio del 1529, presso la delizia di Belfiore, Afranio si esibiva nel corso di una cena di pesce alla decima portata, tra insalate d'erbe e fiori, caviale e bottarghe. Più appesantiti dovevano essere, invece, gli spettatori del banchetto tenuto a Mantova nel novembre del 1532, visto che alla quinta vivanda il povero phagotus si trovava a contendere l'attenzione degli astanti con una portata davvero corposa, al suon di fricassea di rognoni, cinghiale, capretti e vitello in salse varie.

La ritrovata immagine del phagotus nel dipinto del Maestro dei Dodici Apostoli si presenta quindi come una fondamentale testimonianza documentaria. Conferma, anzitutto, che il suo autore era uno stretto frequentatore degli ambienti di corte. L'inserimento dello strumento musicale in una ambientazione tipicamente pastorale restituisce poi un contesto, finora ignorato se non addirittura frainteso dagli esperti.

Più che un bizzarro antenato dell'odierno fagotto, il phagotus fu l'elaborazione nobilitata di una zampogna destinata a rappresentare quell'immagine aulica del mondo dei pastori, che il raffinato pubblico di egloghe e pastorali tanto amava e che proprio alla corte estense avrebbe continuato ancora ad apprezzare fino all'Aminta di Tasso e al Pastor fido di Guarini.