Sirene

Scritto da  Roberto Pazzi

La performance della poetessa statunitense Dana Bryant all'imbarcadero del Castello Estense.Note a margine della prima grande manifestazione letteraria ferrarese [con il testo del saluto del Presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara ai partecipanti al convegno].

Circa una decina di anni fa, mi trovavo ad un convegno di scrittori in Finlandia, a Lahti, dedicato in quel momento storico alla denuncia della condanna a morte decretata contro Salman Rushdie dal regime integralista khomeiniano. Poco dopo il mio intervento, mi vedo avvicinare da uno scrittore australiano, il poeta Alain Wearne che, saputo che venivo da Ferrara, in Italia, guardandomi come fossi venuto dalla Luna, mi preannuncia l'invio a casa, appena fosse tornato nella sua Melbourne, di un libro che era certo mi avrebbe dovuto interessare.

 


L'avevano scritto due suoi amici poeti ed aveva il titolo The Ferrara poems, Poesie ferraresi. I suoi due amici infatti, Ken Bolton e John Jenkins, avevano dedicato a Ferrara una specie di poema in vari canti, ambientato nella città italiana dove non avevano mai posato il piede.

Torno a casa, dopo il convegno finlandese e a qualche settimana di distanza ricevo come promesso il volume dal titolo per me così suggestivo, un'edizione povera, in copertina priva di qualsiasi riferimento riconducibile al titolo. E quale non è la mia sorpresa nel leggere che la vicenda di The Ferrara poems si snoda tutta in una Ferrara sulle montagne, dolcemente ondulate, fra il castello estense, il palazzo dei Diamanti, il duomo e il palazzo di Schifanoia.

 

Un momento del Convegno Letterario Internazionale.Strade e piazze in salita e discesa, ricomponevano la città di pianura, promossa a città di montagna, con un clima, una vivibilità che riallineavano gli elementi della mia quotidianità in un immaginario tutto diverso, pur conservando nomi, monumenti, vie e piazze della realtà.
Ecco, mi sono detto, che cos'è una città, la mia, nell'immaginario dei miei antipodi. È un nome da risillabare, un clima da reinventare, un assetto urbano da ridisegnare, uno skyline da rimodulare, quando ci si attenga appena soltanto alla fermezza del nome e alle sue poche lettere, ai suoi sette segni, alle sue tre sillabe in italiano, Ferrara...

 

Una scatola di suoni che stimolano ad associarne altri, un enzima coagulante immagini di paesi lontani, un esercizio musicale di variazioni su tema, un mantra che trae dalla replicazione esasperata fino alla noia la felicità e l'evasione della variante, un azzardo a dilatare le possibilità evocative del nome proprio, ecco, mi sono detto, che cos'è anche l'immaginario. Purché sia tutelato dalla non conoscenza dell'oggetto, purché nessuno abbia posto piede dove corre la fantasia creatrice a immaginare il luogo, di cui si abbia, come i due poeti australiani, oltre alla purezza misteriosa del nome proprio - Ferrara - solo nozione vaga di qualche altro nome che popola quel nome: Schifanoia, il Duomo, il Palazzo dei Diamanti, il Castello Estense.

Ho pensato subito che l'immaginario di Ferrara si accendeva perché tutelato dalla remota lontananza della cosa evocata dal nome: l'Australia, la più lontana terra da Ferrara, prometteva di garantire ancora il salto fantastico, di nutrirlo, in un mondo in cui l'atrofia dell'ignoranza e la decadenza dell'analfabetismo, a causa dell'eliminazione delle distanze grazie alla tv e all'informazione, rende impossibile quella che una grande saggista italiana, Cristina Campo, chiamava «una professione di incredulità nell'onnipotenza del visibile».


Tahar Ben Jelloun, Insel Marty e Viviane Forrester incontrano i lettori a L'Osteria.Certo l'azzardo della fantasia che fa di Ferrara una città come Lhasa, in Tibet, non sarebbe stato consentiti con altrettanta facilità a un poeta di Basilea o di Nanterre. Là sarebbe stata ignoranza colpevole, oziosa provocazione, quel che nella mente dei due australiani concedeva invece il «possente errore» della Poesia. Sfioro appena e subito abbandono il tema letterario impostato da Giacomo Leopardi, che pone in contrasto immedicabile fantasia e ragione, natura e storia, indicando nel restringersi senza rimedio sempre più dei territori della fantasia vinta dalla ragione, nei bambini divenuti adulti e nei popoli primitivi divenuti civili, la più sicura garanzia dell'universale infelicità.

 

Nacque forse in quei giorni il sogno di riunire a Ferrara un convegno sull'immaginario contemporaneo, chiamando a raccolta i poeti, i narratori, i critici di letteratura, i pensatori che occupandosi del sacro, della scienza, delle arti figurative, da sempre si interrogano su quest'attitudine dell'uomo a dilatare e restringere le distanze a misura non della direzione generale delle ferrovie o della compagnia aerea, ma del bisogno di popolare i nomi, i suoni, le parole, le formule, i numeri, i colori, le forme, giocando con quei nomi, quei suoni, quelle parole, quelle formule, quei numeri, quei colori, quelle forme.


Fahrenheit 451, lo spettacolo del Teatro Nucleo per le vie di Ferrara.Affiancando al mondo dell'esperienza quello dell'immaginazione, che è così intimamente disciolta nel nostro vissuto da rendersi impossibile spesso distinguerle: quella parte che attraversiamo ogni giorno mentre stiamo pensando da soli, come mentre stiamo parlando con qualcuno ma non lo sentiamo più, catturati da una parola pronunciata che uccide tutte le altre e chiama intorno a sé un esercito di parole che va all'attacco del nostro interlocutore ma nulla traspare dell'assedio dal nostro sorriso.

 

Quel vissuto che palpita mentre riceviamo le provocazioni dei sensi, ad occhi aperti, a orecchie ben deste, a naso, odorato, gusto ben vigili. Ancor di più ad occhi ben chiusi, a sensi per metà affievoliti, quando si scatena la supplenza della cosiddetta realtà e sprofondiamo nella memoria individuale e collettiva, nelle nostre paure, nei nostri desideri.

 

 

Totalmente arresi a lui, quando per la porta del sogno, entriamo nella casa del sonno. Forse era tempo di riunirci, a Ferrara, la città di Ariosto e Tasso, a ripensare lo statuto dell'immaginario, dopo alcuni secoli, la funzione affabulatrice della mente, la tentazione di affiancare alla cosa il suo doppio, vago e tremante, improbabile eppure ingombrante, una specie di ombra che accompagna la carne, la asseconda, la serve come sua schiava, la corteggia e la subisce, ma della quale mai la sua padrona, la carne, potrebbe fare a meno.

 

Perché anche questo è l'immaginario, l'ombra che proietta un corpo, il non-ancor-detto di chi ha già finito di parlare e ha già bruciato la sua occasione, l'inizio di un nuovo discorso pensato come un nuovo colpo di dadi che non potremo più ritentare dopo che abbiamo consumato il nostro e che sappiamo quanto sarebbe più bello, più adatto più opportuno, più ricco, più gradito, ma che non si può più fare, ma solo immaginare.

«Esprimersi e morire o rimanere inespressi e immortali», ha scritto Alfred Jarry, all'inizio del secolo, ma era un aforisma molto caro al nostro Pasolini. Ecco la nuova contraddittoria distinzione fra reale ed immaginario, che denuncia la fecondità della vita, quando la prima parte del dilemma sia appagarsi della realtà, e la seconda sia data dalla seduzione del canto delle Sirene, di omerica e kafkiana memoria, la fascinazione raggelante dell'immaginario.

Guai se avessimo invitato a Ferrara i poeti australiani che avevano immaginato le montagne a Ferrara. Li vedremmo aggirarsi nella piatta città di pianura delusi, col loro volume in mano, prenotando appena possibile, soffocati dalla vergogna, il primo aereo per tornarsene a casa, dove noi possiamo ancora essere dei montanari. Perché le Sirene li avrebbero costretti a tornare nell'unica Ferrara concessa alla loro mente e che essi avevano tradito come Orfeo, quando si volta, per controllare che Euridice lo segua.


Avraham Yehoshua e Assia Djebar incontrano i lettori alla Libreria Mei.Di che stoffa sono fatti i nostri sogni, oggi, nell'era di Internet, della comunicazione multimediale, della tv, del computer, delle campagne elettorali spettacolaristiche dove vince non chi ha idee ma chi è più telegenico e si può spianare ogni ruga, ogni dente mancante della persona?
Come si va trasformando l'immaginario contemporaneo, per noi che non siamo i Greci, dalla visione sempre presente del sovramondo eroico e divino incarnato dalla mitologia classica, noi che non siamo medievali, la mente affisa al doppio celeste che nella Divina Commedia di Dante trova il suo modello e il suo codice, noi che non siamo nemmeno i rinascimentali, attratti dal Principe e dal Cortigiano, fra virtù e fortuna, razionalità e fatalismo, né i moderni sedotti dal mito onnipotente di Faust che già si allea a quello del Superuomo, patire del narcisismo e dell'individualismo che nutre i sogni collettivi della nostra epoca postmoderna?

 

Possiamo noi uomini di lettere tentare, insieme agli uomini di scienza, ai pensatori religiosi, ai filosofi, agli artisti, di trovare il filo rosso che unisca le diverse manifestazioni dell'Immaginario? Miti, speranze, paure, di cui si nutrono i nostri romanzi, le nostre poesie, il nostro pensiero, accennano alla ricorrenza di qualcosa di comune forse fra est ed ovest, fra nord e sud del mondo.


Un momento di Fahrenheit 451 presso l'I.T.I.S. di Ferrara.Un'opera non ha successo, non ha aderenza nella mente all'immaginario dei suoi lettori, soprattutto se sono milioni come accade ai lettori di alcuni dei qui presenti autori, se non va a pescare in qualche esigenza, in qualche calda corrente sotterranea, in qualche giacimento aurifero ancora inesplorato della psiche. Fra paura della libertà, dove si annidano i risorgenti integralismi e la fame di identità dopo la caduta dei due poli Mosca-Washington, per fare un esempio, ed esasperazione del vuoto ideale e ideologico, divenuto edonismo e riduzione al culto dell'io e del successo.

Noi non siamo gli uomini del Potere, noi non decidiamo niente. Le Borse Valori non tremeranno per quel che diremo, le prossime mattine. I destini delle nazioni, le economie del mondo non dipendono da quel che noi elaboriamo, inventiamo, escogitiamo. Noi siamo l'ombra di quella carne, la sovrastruttura, il Potere non chiede a noi niente. Ma senza di noi il Potere è manchevole, perché metà della carne che il Potere governa è fatta di una sostanza che sfugge al Potere, una rena sottile e fine della stessa sostanza dei sogni, come direbbe Borges, sulle tracce di Pindaro, completando l'assunto di Feuerbach che «l'uomo è ciò che mangia».

Governare bene l'uomo per che fine, infatti? A che cosa serve il buon governo? Mangiare per vivere, ma di che cos'è fatto il vivere? Perché si vive? E qui tutti noi uomini dell'Immaginario siamo riconvocati in causa, di nuovo investiti di un compito che completa quello dei Potenti della Politica. Uno servirà il Giusto, l'altro il Vero, l'altro Dio, l'altro il Bello, nei suoni, nei colori, nelle parole, nella materia, nelle immagini.


Tahar Ben Jelloun e Ben Okri al bar Nuovo.Dal nostro convegno non usciranno le decisioni di un G7, di uno di quei summit che per miracolo fanno trovare al governo dello Stato ospitante i miliardi per abbellire la città dove si svolge: la nostra Ferrara rimarrà il piccolo gioiello rinascimentale che tutti gli stranieri qui presenti oggi mi auguro possano aver modo di ammirare. Eppure qualcosa di utile potrà uscirne se per lo meno avrà riproposto alla coscienza di tanti la minaccia che grava l'Immaginario, una minaccia che viene dall'onnipotenza del virtuale di Internet per alcuni, da quello dell'onnipotenza della transgenetica per altri.

 

Oggi molti sono tentati di sostituire l'immaginario con il virtuale, che è un'altra cosa, e già qualcuno pensa che si possa creare in laboratorio il centauro che gli antichi concepivano solo in forza di immaginazione. Il pericolo davvero straordinario è per molti che il reale eguagli l'immaginario.
Per molti di noi è un rischio che l'uomo ha sempre corso in ogni epoca storica, e sarebbe poco saggio allarmarsi concedendo alla nostra epoca un primato negativo sulle altre. E tuttavia il sentimento di un'invadenza dell'immagine che uccide l'immaginario pervade la coscienza di molti. Per qualcuno è addirittura colpevole dell'assassinio della lettura, poiché la capacità di vedere nella camera della propria mente la cosa narrata si atrofizza davanti alla televisione.

Non procederò oltre, mi limiterò ad accennare un campo di questioni che lascerò aperto agli amici convenuti. Dovrò solo confessare una paura, il timore di vedere spuntare da quella porta, i due poeti australiani col libro in mano della Ferrara immaginaria sulle montagne, reclamando a questo convegno il diritto di vederla come l'avevano sognata a migliaia e migliaia di chilometri da qui...

L'Immaginario Contemporaneo 

Dario Fo, premio Nobel per la letteratura nel 1998, ha concluso i lavori del convegno L'Immaginario Contemporaneo con una performance teatrale.Alcuni passaggi del saluto del Presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara ai partecipanti al convegno

Con grande piacere porto a questo convegno il saluto della Cassa di Risparmio di Ferrara, che ho l'onore di presiedere.
Il sostegno che abbiamo inteso dare a questo importantissimo incontro, ideato e realizzato dall'amico Roberto Pazzi, si inquadra in un impegno che il nostro Istituto e la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara hanno sempre prestato al mondo della cultura, in funzione della crescita sociale ed economica del territorio.

 

La Cassa e la Fondazione credono fermamente che l'Europa unita possa diventare nuovamente, come fu nel passato, durante la grande epoca del Rinascimento italiano o quella del Romanticismo tedesco, il cuore pulsante dell'umanità.

Mai come oggi l'umanità è stata consapevole, libera, indipendente, e mai come oggi è stata alla ricerca di valori che la guidino. Per trovare questi valori, è necessario indirizzare gli interessi dell'uomo sempre più verso l'arte, verso la dimensione spirituale dell'esistenza, e sempre meno verso il consumismo: perfino le imprese (anche le banche come la nostra) hanno sempre più bisogno di poter contare sulla cultura, sulla creatività e sul genio dei propri collaboratori, per configurare nuove modalità organizzative umane e creative, creare gruppi di lavoro efficaci, immaginare i bisogni di una società in continua evoluzione.

L'arte, la cultura possono aiutarci a rendere migliori le nostre imprese, le nostre città, i luoghi dove abitiamo e dove lavoriamo. E' indicativo che, in questo contesto, alcune imprese abbiano cominciato a rivolgersi anche agli artisti e ai poeti per poter interpretare meglio la realtà in cui operano. Parlare di immaginario, dunque, non significa eludere i problemi concreti della vita, del lavoro: tornare ad ascoltare artisti e poeti, come facevano i Signori del Rinascimento, può esser di grande utilità per politici, dirigenti, imprenditori e insegnanti.

Sappiamo quanto conta, nella vita interiore, conoscere la poesia, saper scrivere, avere un rapporto con la dimensione artistica. Sappiamo quanto potrebbe contare anche in quella materiale. Questo convegno può essere un'occasione per riflettere su come costruire un inventario di ciò che gli artisti possono offrire, in termini pratici, alla comunità. E, su questo progetto, costruire appuntamenti nazionali periodici, che siano una opportunità di incontro tra artisti e società. Per queste finalità, non mancherà mai il sostegno della Cassa e della Fondazione.

Alfredo Santini