Cosmè Tura, San Giorgio, la principessa

Scritto da  Monica Molteni

Una delle due ante d'organo del Duomo di Ferrara: San Giorgio e la Principessa, Ferrara, Museo del Duomo.Fra rimandi alla politica estense e richiami in difesa della cristianità, la celebre opera rivela il proprio significato.

Una delle principali difficoltà che si incontrano nel voler ripercorrere la vicenda artistica di Cosmè Tura è data dalla quasi impossibilità di trovare agganci documentari sicuri alle opere superstiti, il che ostacola pesantemente la ricomposizione di un percorso cronologico che, dunque, quasi per intero, va assestato sulla base delle emergenze stilistiche.
Le carte d'archivio appaiono, infatti, prodighe di indicazioni e date relative a quella prassi d'alto artigianato da cui il pittore mai si discosterà per tutto l'arco della lunga carriera, facendo luce su un quadro di attività quanto mai variegate, che lo vide alle prese, di volta in volta, con lavori di decorazione minuta per cassoni o cornici, apparati per feste, cartoni per arazzi, disegni per vesti da torneo o preziosi servizi d'argenteria, di cui, per la natura effimera di tali manufatti, si sarebbe sicuramente persa memoria.


Così come, non fosse per i documenti estensi, nessuna traccia resterebbe di quelle imprese pittoriche che il tempo ha cancellato: le pitture della biblioteca dei Pico, a Mirandola; gli affreschi della cappella Sacrati, nella chiesa ferrarese di San Domenico; la decorazione della cappella di Belriguardo. Viceversa - e purtroppo - il silenzio sui dipinti conservatisi fino ai nostri giorni, come già accennato, rimane totale.

L'unica eccezione riguarda un'opera di notevole fama, capolavoro della prima maturità dell'artista, la cui sicura datazione, proprio per la centralità all'interno del corpus turiano, contribuisce efficacemente alla seriazione cronologica di numerosi altri testi che con essa presentano inequivocabili affinità stilistiche e figurative: si tratta del San Giorgio e la principessa che, in pendant con una monumentale Annunciazione, decorava le ante dell'organo della cattedrale ferrarese.


Una delle due ante d'organo del Duomo di Ferrara: Annunciazione, Ferrara, Museo del Duomo.In proposito, i documenti della fabbriceria del duomo ci informano che, l'11 giugno del 1469, Cosmè riceveva centoundici lire marchesine per aver realizzato le quattro tele destinate a essere montate sulle finestre dello strumento, lasciando chiaramente intendere che, entro tale data, l'impegno del pittore era giunto a termine, coronando un'impresa assai impegnativa che aveva preso il via qualche anno prima. La commissione dell'organo, infatti, già nel 1465 era stata allogata dal vescovo Lorenzo Roverella a Giovanni da Mercatello, organorum magistrum fra i più stimati del tempo, allo scopo di sostituire il vecchio strumento nel frattempo andato fuori uso.  

L'artigiano, che lavorava in società con il fiorentino Rainaldo di Maestro Gaspare, si era impegnato a condurre l'opera entro il giugno del 1467, ma vari imprevisti (fra cui, verosimilmente, la morte del Mercatello stesso) ritardarono la consegna dell'organo, che fu infine collocato in chiesa entro il marzo del 1468. Superato il collaudo di prassi nel luglio dello stesso anno, esso fu, infine, completato con le ante dipinte dal nostro entro il giugno del 1469.

Complessivamente l'iter costruttivo era durato quattro anni ed era costato una somma decisamente importante, superiore ai cinquecento ducati d'oro, ma senz'altro commisurata alle qualità decorative - certo largamente esaltate dal contributo di Cosmè con le tele per le due portelle - e musicali dello strumento. Fu, anzi, probabilmente, la notevolissima resa acustica a consigliarne, pochi anni dopo l'installazione, un repentino trasferimento dall'abside della cattedrale - troppo esigua rispetto alle potenzialità espressive dello strumento - alla navata centrale, sopra l'altare dedicato ai dodici Apostoli, dove rimase fino al definitivo smantellamento e alla sostituzione ai primi del Settecento.

Le portelle dipinte dal Tura rimasero legate all'organo fino all'ultimo; dopo lo smantellamento, dapprima vennero appese ai lati del coro, quindi esposte in sagrestia. Nel frattempo, però, un pesante restauro ne aveva falsato la visione, alterando sia le cromie originali sia il dato stilistico, con sottolineature e ripassi che avevano tolto tensione al tipico ductus turiano, addirittura modificando i connotati delle figure e imbellettandone i tratti.

Inoltre le tele erano state smontate dai telai originali e riassemblate a coppie, con risultati clisastrosi soprattutto per l'Annunciazione, che, diversamente dal San Giorgio e la principessa, non era stata concepita per una visione frontale, poiché nella collocazione originale le due ante non si aprivano completamente, ma mantenevano un certo angolo rispetto al fronte dell'organo, di cui Cosmè aveva tenuto ovviamente conto nell'impostare le fughe prospettiche della composizione.



La carta XLVIIII dell'Antifonario XVIII del Museo del Duomo di Ferrara, con la scena di San Giorgio.Tale raffinato artificio ottico era già decaduto nel momento in cui le portelle erano state staccate dallo strumento e appese di piatto alla parete della chiesa; il restauratore settecentesco, però, era riuscito a compromettere ulteriormente la situazione, cucendo insieme le tele e riducendo a una sola le colonne che delimitavano le due scene, con un risultato di claustrofobica compressione dello spazio e accorciamento degli assi prospettici del tutto incongruo rispetto alla primitiva funzionalità dei dipinti, che tramite la suggestione della profondità paesistica dovevano contribuire sostanzialmente alla dilatazione illusionistica dei margini fisici dell'esigua abside prerossettiana.
Fortunatamente, l'insieme di questi danni fu emendato dai restauri successivi: il primo, risalente al 1948, al seguito del quale i quattro dipinti vennero definitivamente collocati nel Museo del Duomo, e un secondo, conclusosi dopo tre anni di lavoro, nel 1985, grazie a cui è stato possibile recuperare per intero le qualità cromatiche e materiche dell'opera.

 

Ma vediamo in dettaglio cosa il Tura aveva dipinto, onorando il contratto stipulato con la Fabbrica della cattedrale. La selezione dei soggetti risultava in parte condizionata dalla loro collocazione finale: il fatto che le ante avessero una specifica funzionalità e fossero destinate ad aprirsi e chiudersi, rendeva infatti necessario che ciò che fosse rappresentato sui lati interni delle portelle potesse facilmente dividersi in due parti.

 

A questo scopo ben si prestavano le raffigurazioni isolate di santi, generalmente scelti fra quelli titolari della chiesa, ma anche le Annunciazioni, che consentivano di separare l'immagine di Gabriele da quella della Vergine senza che si smarrisse il nesso narrativo della scena.

La scelta del Tura si colloca, dunque, all'interno di una precisa consuetudine iconografica, anche se, poi, la sua Annunciazione, in virtù della fittissima trama di allusioni simboliche che sostanzia l'immagine, viene configurandosi come un testo di lettura assai ardua, intriso di rimandi alla tradizione ermetica, alchimistica e astrologica, nel complesso allusivo all'avvento di una nuova "età dell'oro" che avrà luogo sotto il segno della rivelazione divina.

La decisione di illustrare sul fronte esterno delle finestre l'episodio di San Giorgio che uccide il drago ha, invece, un più specifico radicamento municipale, in ovvia connessione, innanzitutto, con la qualifica del santo a patrono della città di Ferrara. Ma a motivare questa scelta sembrano intervenire anche altri fattori, più intimamente legati alla particolare vicenda dei dipinti e alle contingenze storiche e politiche degli anni che ne videro la genesi.



Particolare della miniatura.Il collegamento, già sancito dalla tradizione medioevale, fra l'uccisione del drago (il cui alito mefitico appestava l'aria ed era causa di morte) e l'opera bonificatrice dell'uomo (che risana le paludi allontanando il pericolo delle pestilenze), verrebbe a richiamare, in questo contesto, il magnum opus di Borso. Proprio in quel tempo, infatti, vedeva compimento il piano di bonifiche agrarie portato avanti con energia dal duca, che viene così a identificarsi idealmente con il santo che sferra il colpo letale al mostro sullo sfondo di un'inquietante distesa paludare. Inoltre, una serie importante di contesti figurativi dimostra con chiarezza come le messa in scena di questo episodio tenda a configurarsi come allusione alla necessità della crociata come risposta della cristianità minacciata al dilagare del flagello turco, in ragione della costante identificazione fra San Giorgio e il miles christianus per eccellenza, cioè il cavaliere crociato.

 

Tale bisogno sembrava essersi fatto ancora più urgente all'indomani della caduta di Costantinopoli (1453) e a fronte della politica violentemente - ed efficacemente - espansionistica di Maometto II, per contrastare la quale papa Pio II si era affannosamente adoperato con un estremo tentativo di pacificare gli stati italiani in vista di una nuova crociata. L'intima amicizia fra Lorenzo Roverella, vescovo di Ferrara e reale sponsor dello strumento e delle pitture che lo decoravano, e Pio II rende plausibile che la commissione dell'organo della cattedrale, concretizzatasi nel 1465, intendesse non solo commemorare il pontefice scomparso l'anno precedente, ma, soprattutto, riproporre l'appello alla crociata.

Al radicamento squisitamente ferrarese del back-ground iconografico e iconologico presupposto alle tele non si può dire corrispondano referenze figurative di analoga matrice geografica. Ad affiorare sono, soprattutto, reminiscenze di matrice padovana, in particolare mantegnesca, le stesse che sostanziano robustamente tutta la produzione giovanile del Tura.

Ciò è particolarmente evidente nei pannelli dell'Annunciazione, ove l'impatto fortemente classicheggiante dell'architettura, con i suoi rilievi all'antica, le eleganti colonne scanalate, i lacunari dell'imbotte decorati a rosoni, i festoni sospesi, richiama soluzioni già collaudate dal Mantegna, a Padova, negli affreschi Ovetari. E alla stessa fonte rimanda anche il motivo del colle che, nella scena con San Giorgio, si erge dietro la principessa, proiettandola perentoriamente verso il primo piano, del tutto simile a quello che compariva nelle pitture patavine nello scomparto con il Martirio di San Giacomo.

Il gioco delle assonanze stilistiche non può, in ogni caso, far perdere di vista un fatto fondamentale: le ante dell'organo ferrarese, ormai, sono espressione di una maturità artistica che si declina con cadenze personalissime nel vitalismo delle figure, nelle meditate forzature espressionistiche, nel linearismo "ferrigno" dei panneggi, nelle stesse scelte fisionomiche.

Del valore vincente delle formule qui varate dal Tura non mancano, d'altra parte, testimonianze anche immediate. Un'eco freschissima del San Giorgio e la principessa si ritrova, infatti, negli affreschi di Schifanoia, verosimilmente condotti con gran celerità, in parallelo alla decorazione dell'organo, nel 1469: nel Trionfo di Cerere si riconosce una precisa citazione della principessa nel gruppo delle fanciulle danzanti; mentre, all'estremità sinistra del Mese di Marzo, il falconiere che sopraggiunge a cavallo appare per impeto ben raffrontabile al santo dipinto da Cosmé.

Sulla più lunga distanza, invece, la vitalità del modello è certificata dalla frequenza con cui è riproposto nei corali miniati del Duomo ferrarese (1473-1535), all'interno dei quali numerosi antifonari mostrano la figura di Giorgio o la scena dello scontro con il drago, mantenendosi fedeli alla fonte turiana nell'impostazione complessiva dell'immagine, nella scelta dei dettagli e nell'ambientazione.