Al trotto e al galoppo

Scritto da  Vittorio Emiliani

Il mitico Varenne, dell'allevamento Zenzalino di Copparo, in una foto del 1995.I cavalli una passione bruciante ed esclusiva, tutta emiliana e romagnola. Anzi, ferrarese...

 

Il Ferrarese è sempre stato terra di cavalli da corsa. L'ha confermato in modo sfolgorante, forse inarrivabile, il già leggendario Varenne, nato e allevato a Zenzalino di Copparo. Il più grande talento mai espresso dal trotto italiano, sfrecciato sulla pista di Mikkeli in 1.09.3 al chilometro (record europeo).

 

Logico che tanti attendano con ansia l'entrata in pista dei primi discendenti del "Capitano" - 6 milioni di euro vinti in carriera, adesso 15 mila a monta - figlio a sua volta di un grande stallone importato dagli Usa (Waikiki Beach) e di Ialmaz. E pensare che alla corsa d'esordio questo baio armonioso con la stella bianca sulla fronte era stato squalificato per rottura prolungata.

Ma la presenza eletta del cavallo nella tradizione ferrarese ce l'avevano mostrata i pittori del Rinascimento, negli affreschi del grande ciclo di Schifanoia. E inoltre: è un caso se il protettore della città degli Este è proprio un santo a cavallo, il mitico San Giorgio, effigiato da Cosmè Tura, che affronta e trafigge il drago dalle froge fiammeggianti?

Di cavalli, nella sterminata pianura della bonifica, in epoca moderna quasi senza alberi, se ne sono visti sempre parecchi. Cavalli da tiro poderosi, di razza nordica, francesi e belgi, che spesso qui sostituivano i buoi da lavoro, meno numerosi che altrove per la scarsità di fieno, di foraggi.

 

 

Vandalo, 1862, allevamento Marchese Costabili, Consandolo.Poi, soprattutto a partire dall'800, altri cavalli si sono veduti trainare le carrozze dei signori e i calessi dei loro agenti di campagna e magari dei parroci finiti in quella landa spesso come scristianizzata.

Il diciannovesimo secolo ha portato anche le prime corse al trotto che sono state e sono la dominante appassionata di tutta l'Emilia-Romagna: in questa regione infatti ci sono ben cinque ippodromi di rilievo per il trotto con stagioni e premi di livello nazionale (a Bologna, a Cesena, a Modena, a Ravenna e a Ferrara), più altri di allevamento, di prova o strettamente locali. Mentre per il galoppo - a differenza della Toscana o della Lombardia - non c'è neppure un ippodromo. Il trotto, quindi, come passione praticamente esclusiva.

 

Del resto, sono emiliani e romagnoli, di nascita o di origine, molti fra i più grandi drivers italiani, di ieri e di oggi. A cominciare dalla dinastia tutta ferrarese dei Guzzinati e con loro i mitici amici/rivali, entrambi reggiani, Sergio Brighenti detto "Pilota" o "el Negher" e William Casoli soprannominato "Marmotta" (sembrava dormisse sul sulky, e invece infilava tutti in dirittura). Entrambi effigiati in memorabili ritratti da Mario Fossati, maestro di giornalismo, prima al "Giorno", poi a "Repubblica".

Ma nelle storie del trotto entrano d'impeto pure gli Ossani, i Bottoni, i Baroncini, i Cicognani, gli Albonetti, i Gubellini, i Bellei, i Bechicchi, gli Andreghetti e altri ancora.

Ricordo bene il viale di Zenzalino - dove è nato e si è fatto lo zoccolo e le ossa lo strepitoso Varenne - un lungo viale di pioppi alti e verdi, in una piana che di verde aveva allora soltanto la macchia estiva della canapa ormai alta, che in settembre sarebbe poi finita nei maceri. All'epoca la tenuta era della famiglia Ravanelli. Ora appartiene ad Alessandro Viali, attrezzato manager milanese.

Non lontano da lì, in altra direzione, cioè sulla strada che da Copparo porta a Ferrara, era nato nel dopoguerra un altro bel cavallo da corsa, chiamato Birbone, perché dalle parti di Tamara si divertiva da puledrino a rubare le mele dai frutteti ancora rari, allora.

Birbone, 1945, allevamento Oberdan Bisi, Tamara.Un baio veloce, gran partitore, come pretendeva il suo guidatore, il toscano Vivaldo Baldi detto "Decione", il quale amava la corsa di testa. Con lui, Birbone doveva vincere anche il prestigioso Lotteria di Agnano, per ben tre volte, inserendosi, come periodo storico, fra Mistero, il campione dei forlivesi conti Orsi Mangelli che nel 1947 aveva trionfato a Parigi nel Prix d'Amerique disputatosi a Enghien, e i duellanti Tornese e Crevalcore.
Biondo dalla criniera volante il primo, pilotato dall'aggressivo Brighenti. Nero come la pece il secondo, anch'esso cresciuto nel grande allevamento degli Orsi Mangelli e guidato dal riflessivo Casoli. Birbone aveva mantenuto un carattere bizzarro e giocava spesso tiri, per l'appunto, birboni ad allenatori e drivers.

Di cavalli e di corse parlavamo fra di noi al Liceo Ariosto nei primi anni Cinquanta, anche perché era stata aperta da poco la prima Sala Corse (oggi si chiamano Agenzie Ippiche) nel grande palazzo della Ferrobeton costruito all'inizio di viale Cavour. La gestiva un signore magro, sempre abbronzato, un Cacciari, credo, che d'estate avrei ritrovato a Rimini in un'altra Sala Corse, a Marina, vicino al Grand Hotel.

 

Ruit Hora, 1953, Allevamento Ettore e William Stefanini, Tresigallo.Agostino Serravalli detto "Teocia" e io ci preparavamo sul "Trotto" o sul "Cavallo", studiando attentamente i programmi di tutta Italia, del trotto soprattutto, calcolando i tempi dei partenti, lo stato delle piste, secche o fangose, se avevano corso il miglio oppure la distanza più lunga, se erano o no propensi a "rompere", di chi erano figli, chi ne era il driver in quell'occasione e tante altre utili informazioni dalle quali doveva scaturire il pronostico. Avevamo poche, pochissime lire in tasca. Per cui, prudentemente, giocavamo più piazzati che vincenti e, rare volte, un'accoppiata.

A scuola capitava ogni tanto di parlarne negli intervalli con uno dei professori più colti e disincantati, Bortolotti, il quale ci insegnava Greco e Latino. Veniva da Corlo, una frazione fra Copparo e Ferrara, dove la famiglia aveva qualche buona fattrice.

Ricordo ancora che una cavallina di nome Pescara era venuta da quell'allevamento di campagna. Sperava che entrasse nel Libro d'oro. Allora voleva dire trottare sotto il minuto e 20 al chilometro. Andatura da passeggio, oggi. Allora una vetta da scalare.

In Sala Corse capitavano di frequente allevatori dalla faccia cotta dal sole dei campi, capaci di risate fragorose e anche di giocate da brivido per noi che raramente potevamo rischiare le 500 lire a puntata tenendoci sulle 100-200 lire al massimo.

Nankino, 1950, Allevamento Ettore e William Stefanini, Tresigallo.Per la verità, chi, come me, doveva studiare fra un trenino e l'altro per Copparo, finiva per andare in Sala Corse nel primissimo pomeriggio (dopo un panino mangiato al volo o un pasto frugalissimo alla mensa dei ferrovieri, al Panfilio), puntare su un certo numero di gare, andare a studiare da Paolo Farneti, che aveva una bella casa con giardino all'inizio di Porta Mare, o da Fabrizio Zucchi che abitava invece nei pressi dello stadio dove si allenava e giocava la beneamata Spal condotta da Paulòn Mazza. Più tardi sarei ripassato a vedere se avevo racimolato o no qualche soldino di vincite.

La passione per i cavalli mi era venuta da un padre nativo di Forlimpopoli, paese di cavallari, pronti a tutto pur di piazzare un animale anche bolso o zoppo, magari dandogli una spolverata di zenzero fra le chiappe.
Abbigliati come vaqueros con stivali, gilet, un fazzoletto rosso attorno al collo e il grande cappello a larghe falde nel cui nastro stavano perennemente infilati un biglietto ferroviario e magari uno  stuzzicadenti, passavano da un mercato all'altro, da una fiera all'altra.
Il babbo, poi, era stato reclutato per il fronte nel 1915, ad appena diciannove anni, e spedito a fare tutto il durissimo corso da cavalleggero come Dragone del mitico "Genova Cavalleria". Salvo poi venire presto appiedato sul Carso per finire fra i mitraglieri.

 

Segretario comunale, doveva per tutta la vita rimanere un Dragone del "Genova". Appassionato di concorsi ippici (ai quali mi iniziò come spettatore in piazza Ariostea) e però cultore del trotto assai più che del galoppo. Come l'origine romagnola imponeva.
Nel Ferrarese c'erano numerosi allevamenti sparsi nella pianura.
Piccoli Impianti di contadini sovente. Ricordo che in uno di questi, a Porotto, operava uno stallone dal nome decisamente buffo: Pudore.

 

Nelumbo, 1950, Allevamento Ettore e William Stefanini, Tresigallo.Quando c'era da affrontare una monta - che allora era reale, mentre il povero Varenne "si accoppia" con una finta giumenta - all'impudico Pudore dovevano far compiere un giro o due di pista perché si presentasse pronto alla naturale bisogna.

Un allevamento di pregio l'avevano creato gli Stefanini a Tresigallo. Negli anni Cinquanta, se ben ricordo, infilarono la prima e la seconda piazza nel marcatore del Derby Italiano di trotto con Nelumbo e Nankino. L'anno dopo lanciarono fra i primi un altro bel trottatore: Oro del Reno.
Una sola stagione di corse all'anno si svolgeva nell'ippodromo ferrarese di San Luca, ormai fra le case, e dove un inverno, anni dopo, sono andato a fare jogging corricchiando ai margini mentre i cavalli si scaldavano sgambando vigorosamente, bene in mano agli allenatori sepolti sotto le coperte per ripararsi dal gelo. Ovviamente non mancavamo una sola riunione.
Quelle gare vissute da vicino, in un ippodromo di famiglia, si sono un po' perse. Anche se l'Arcoveggio di Bologna mantiene quest'aria vecchiotta che ricorda le vecchie zie e le pensioni sull'Adriatico.

 

 

Birbone, 1945, Allevamento Oberdan Bisi, Tamara.Vi andai una domenica della tarda primavera, in un anno terribile, il 1977. Ero quasi in permanenza a Bologna, impegnato dalla mattina alla sera come inviato del Messaggero dopo l'uccisione, in marzo, dello studente Francesco Lorusso.

Occupazioni di massa, cortei combattivi, violenze si susseguivano avvelenando il clima politico e formando purtroppo il brodo di coltura del reclutamento terroristico.

Una domenica, anche per allentare la tensione, andai alle corse al trotto. L'Arcoveggio, con le sue tribune anni Trenta, aveva il consueto aspetto cordiale.

 

Come al solito, osservavo i cavalli nelle sgambature e poi giocavo: vincenti e piazzati, quote basse naturalmente. Sedeva vicino a me un contadino anziano, magro, dal volto rugoso, vestito della festa. Capivo che mi osservava.

A un certo punto prese coraggio: "Senta, vedo che lei vince abbastanza. Possiamo giocare assieme?" Accettai di buon grado, ridendo. Mi raccontò che aveva una piccola azienda alle porte di Bologna. Il suo sogno era quello di possedere una fattrice, una sola, da accoppiare con uno stallone di buona qualità. Un puledrino all'anno, se andava bene. "Ma i miei figli", e scosse la testa, sconsolato, "non ci sentono. Non vogliono spendere un baiocco".

Vincemmo insieme una sessantina di mila lire che ci dividemmo fraternamente. "Adesso però dobbiamo berci un buon bicchiere insieme", propose. Cercai di sottrarmi. Non ci fu verso.

Qualche anno dopo il cavallo di un contadino bolognese, un campione quasi casuale, Indo, vinse parecchie gare riportandomi alla mente quella domenica di maggio del '77.

Il trotto è così. Ha ancora questa radice di campagna. Non conosce snobismi avendo incrociato tanti anni fa i purosangue coi cavalli da tiro.

Il ferrarese Varenne, il glorioso "Capitano", ha dato altra nobiltà a tutti i mezzosangue d'Italia che sgambano sulle piste di sabbia, da Trieste a Palermo.