Macinata a fiume

Scritto da  Silvia Poletti

Carla del Poggio e Jacques Sernas in una scena de Il Mulino del Po, di Alberto Lattuada (1949).Un mulino molto speciale, da cui usciva una farina impareggiabile. Il protagonista del romanzo di Bacchelli torna a solcare le acque del Po.

A guardarla sulla carta, la provincia di Ferrara ha la forma di un pesce. La bocca spalancata sulle valli di Comacchio, le due pinne caudali tra Bondeno e Cento, il corpo panciuto rivolto verso il mare. Proprio al centro della lunga linea del dorso, dopo l'abitato di Zocca, il Po si impenna in un'ansa profonda - quella di Ro - e poi ancora in un'altra, il gomito di Guarda.

Fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile immaginare che un altro mulino fluviale avrebbe un giorno ripercorso l'itinerario del San Michele di padron Lazzaro Scacerni, il protagonista de Il Mulino del Po di  Riccardo Bacchelli. Un percorso che, nel romanzo, unisce Occhiobello a Guarda ferrarese passando attraverso "le barche del ponte del Lagoscuro", fino all'Isola Bianca, "ampia e tutta verde, fertile, nutrita di limo grasso dalle piene, che la sommergono senza devastarla, in cotesto tratto benigno di Po", e poi ancora oltre, tra gli  argini dai quali fanno capolino campanili gemelli che si fronteggiano dalle due sponde.


"L'isola trascorre, Scacerni riconosce Francolino e Paviole, Pescara e Garofalo; ecco la grande svolta e il Po che  s'invia verso il settentrione, quasi che il mare non lo chiami più, fino alla Polesella, di dove riprenderà la sua  andatura verso levante, di fiume reale. Ecco la Zocca sul primo gomito, la Polesella sul secondo, alta, colle case  rilevate sugli argini allo sbocco dell'ampia fossa affluente".

La copertina del libro, gentilmente offerto da Valentino Caselli, da cui sono tratte le immagini.Ad oltre sessant'anni dalla scomparsa dell'ultimo dei mulini natanti ferraresi, sarà proprio la primavera di quest'anno a segnare il ritorno di uno di questi antichi habitué delle nostre rive, che il romanzo di Bacchelli ha proiettato in una dimensione epica, intrecciandone la storia con quella dell'Italia negli anni che vanno dalle campagne napoleoniche alla Grande Guerra.

Era il 1938, quando vide la luce il primo volume del romanzo; delle centinaia di mulini 'appiardati' lungo le rive  del Po non rimaneva che qualche relitto destinato ben presto a scomparire. Ancora negli anni Settanta alcuni  abitanti della zona ricordavano che intorno al 1935 si aggirava lungo gli argini e tra i campi un signore corpulento, con un cappello a larghe falde e un taccuino in mano, spesso intento a prender nota.

A quell'epoca, resisteva ancora in vita, e perfettamente funzionante, quello che sarebbe stato l'ultimo mulino di tutta la riva  ferrarese, quello appiardato nell'ansa di Zocca.

Alcune sue caratteristiche facevano pensare che risalisse addirittura alla fine del secolo XVIII. Furono le truppe di occupazione tedesche, nel dicembre 1944, ad affondarlo poco a valle, forse - ipotizza Ugo Malagù - per privare l'aviazione alleata di un facile bersaglio. Per una tragica analogia, il suo ultimo proprietario era morto un anno prima, trucidato davanti al fossato del Castello Estense nel corso della 'lunga notte' del novembre 1943. Il  senatore Emilio Arlotti aveva ottenuto il mulino nel 1926 da un polesano di Occhiobello, e non per puro spirito  di collezionismo.

Scena da Il mulino del Po di Lattuada (1949)Amante appassionato della polenta macinata a fiume, aveva fatto restaurare il vecchio natante  dal migliore calafato della riva veneta prima di affidarlo alla custodia del 'suo' mugnaio, quell'Edmondo Bariani  che tutti conoscevano come "il Pescatore". Era lui che, all'arrivo dell'autunno, iniziava a macinare il nuovo  frumento quando le prime piene facevano girare più in fretta l'ulà, la gran ruota che pesca in acqua e muove la  mola.

Non era raro che il senatore-mecenate raccogliesse attorno alla sua tavola, nella villa che sorgeva ai piedi dell'argine, personaggi come Filippo de Pisis, Pietro Mascagni, Beniamino Gigli, Corrado Govoni e lo stesso Riccardo Bacchelli. E forse non è troppo azzardato immaginare che il più grande romanzo storico del Novecento  sia nato da un piatto di polenta fumante, macinata dai mugnai del Po e consumata nelle lunghe serate di  conversazione passate ai piedi dell'argine.

Il suo successo fu enorme, e particolarmente - com'è ovvio - proprio tra le popolazioni rivierasche, tra le quali  le vicende della famiglia Scacerni assunsero presto i contorni della leggenda. Vennero poi le trasposizioni sullo  schermo: da quella cinematografica del 1949 di Alberto Lattuada - alla sceneggiatura lavorò un giovane Federico Fellini - con Carla del Poggio e Jacques Sernas, alle due televisive del 1963 e del 1970, dirette da  Sandro Bolchi, autore delle sceneggiature insieme allo stesso Bacchelli. E infine l'oblio, durato per tutti gli anni  Ottanta e Novanta.

Scena da Il mulino del Po di Lattuada (1949)Per ricostruire il mulino del set di Bolchi era stato necessario ricorrere a una vecchia stampa conservata nella  Biblioteca Ariostea; oggi, a più di quarant'anni di distanza, altre ricerche sono state necessarie, tra gli archivi e i  musei della Pianura Padana, per realizzare il mulino natante che il Comune di Ro Ferrarese ha messo al centro di  un progetto articolato di valorizzazione e rilancio turistico del territorio.

"Il mulino che verrà attraccato agli inizi  di giugno nelle acque antistanti il territorio di Ro - spiega il giovane sindaco Filippo Parisini - non è che  un'icona di un recupero che si vuole approfondire: il recupero di un rapporto con ciò che oggi ci resta  dell'economia dell'Ottocento. Non si tratta di un'operazione antiquaria o nostalgica. Si tratta invece di dare una  risposta concreta all'esigenza ritrovare nella propria storia le radici di una vocazione, che è quella alla  emplicità, alla sostenibilità, al vivere bene".

Il territorio di Ro Ferrarese è oggi soggetto a vincolo paesaggistico sotto la dicitura "luoghi bacchelliani"; il mulino verrà a integrarsi con un'offerta che mira a valorizzare ciò che Bacchelli per primo aiutò a riconoscere come una ricchezza, e che oggi costituisce il vero valore aggiunto di queste terre.

"Per fortuna, negli ultimi  cinquant'anni lo sviluppo industriale non ha stravolto il paesaggio - prosegue il sindaco. - Qui si integrano in modo armonico ambiente, cultura, territorio. Il mulino sul Po vuole sintetizzare questa integrazione".