Vocazione: arte moderna

Scritto da  Andrea Nascimbeni

La Certosa di Ferrara.La Fondazione nata per volontà di Giuseppe Pianori dota Ferrara di un tesoro di bellezza.

 

Oltrepassato il cancello in ferro battuto, percorso il vialetto ghiaiato che porta direttamente al primo Gran Claustro della Certosa di Ferrara e imboccato il portico a sinistra, dopo il mausoleo di Borso d'Este, al sesto arco - fra quelli di Guido, morto nel 1925, a 48 anni; di suo figlio Gino, undicenne, e della madre, Ines Federici, vedova Pianori, nata nel 1874 - c'è il medaglione lapideo di Giuseppe Pianori, classe 1906 e nativo di  Portomaggiore. Come direbbe Gianfranco Rossi nelle sue Memorie senza teatro, «è così che finiscono le storie, al cimitero, in giornate grigie, fra voci sommesse di pianto e dignitose lacrime»: là dove «superbia e prepotenza sono eternamente mute e tutte le umane disparità in un punto adeguate», secondo lo stile ottocentesco di Giuseppe Petrucci che scrive da Bologna attorno a Il Genio della Giurisprudenza ovvero della statua del Prof. Giuseppe Ferrari.


Dall'Elenco dei monumenti esistenti nel Patrio Comunale Cimitero di Ferrara di Carlo Tomasi, compilato nel 1892 a integrazione della Guida data alle stampe dal già custode Celestino Tomasi - suo padre -, apprendiamo che quell'arco, contrassegnato col numero 31, era di Domenico Barbiani Angeloni: il bassorilievo funebre per Giambattista fu commissionato a Bartolomeo Ferrari (1780-1844), autore - oltre a questo - della tomba di Maurelio Scutellari, e delle figure della Carità e della Fortezza ai lati del busto di Guido Villa, per limitarsi alla nostra Certosa, senza dimenticare però la sua attività al monumento del Canova ai Frari di Venezia e la realizzazione della tomba della contessa Isabella di Velo, moglie del conte Giulio Scroffa, nel cimitero di Vicenza, sotto la supervisione di Leopoldo Cicognara.
La tomba di Giuseppe Pianori alla Certosa di Ferrara.La Certosa di Ferrara, infatti, «che fu stanza di solinghi cenobiti, eretta un dì dalla pietà e dalla munificenza di un principe buono e pacifico, Borso d'Este», fu scelta, - a preferenza degli orti di San Giorgio, i terreni della Punta e del Confortino, il convento di San Bartolo - per ospitare il nuovo cimitero in esecuzione dell'editto napoleonico di Saint-Cloud, del 23 Pratile dell'Anno XII (12 giugno 1804), che vietava le sepolture all'interno delle città, e quindi delle chiese: l'estensione agli stati italiani dipendenti alla Francia - con decreto di Eugenio Beauharnais, del 13 gennaio 1811 - s'applicò anche a Ferrara, che non era tuttavia impreparata al mutamento, avendo ricevuto, sin dal 1797, sollecitazioni in tal senso dall'Amministrazione Centrale del Dipartimento del Basso Po della Cisalpina.

E, il 3 gennaio 1813, s'apre il cimitero, «estrema dimora dei trapassati, ... ma dove ancor giusta onoranza è data alle virtù e tratto tratto s'incontrano testimoni di animo riverente o amoroso o grato de' ricordevoli superstiti verso congiunti o amici o benefattori dipartitisi dal mondo».

E tra i "benefattori", dopo alterne vicende che toccano tanto le estreme come le transeunti dimore, troviamo senz'altro Giuseppe Pianori: memore del foscoliano «A egregie cose il forte animo accendono / L'urne de' forti», matura l'idea, proprio qui, all'ombra del Gran Claustro. Agricoltore facoltoso, ricco ma senza  ostentazione - detto altrimenti, al riparo da facili eufemismi, decisamente parsimonioso - sente approssimarsi la fine: e matura il desiderio di perpetuare la memoria sua e della famiglia.

Incerto sul da farsi, ne parla con l'avvocato Paolo Ravenna per avere lumi: è da questi ripetuti colloqui, da questi oculati consigli, che  l'ispirazione prende forma e l'idea si concretizza. Il 24 marzo 1980 si reca dal notaio e gli consegna il suo testamento segreto, «una busta già chiusa e sigillata con nove sigilli in ceralacca rossa portanti ciascuno impressa l'impronta delle lettere "GP" intrecciate tra loro», annota scrupolosamente il notaio nell'Atto di Ricevimento, allegato C all'atto di repertorio 1099/551.
La Galleria Civica di Arte Moderna.Non vivrà a lungo: si spegnerà il 12 maggio seguente. Tre giorni dopo, il 15 maggio, presente il ragionier Mario Carion, uno dei due esecutori testamentari, e altri testimoni, viene aperto e pubblicato il suddetto testamento, datato 26 febbraio.
«Per onorare in modo degno e duraturo la memoria della famiglia Pianori, intendo costituire e costituisco la fondazione denominata: "Giuseppe Pianori" con lo scopo di sviluppare e arricchire il patrimonio artistico e culturale di Ferrara attraverso l'acquisizione di opere d'arte moderna da destinarsi alla Galleria Civica d'Arte Moderna della città, con preferenza per opere di artisti ferraresi che abbiano dato sicuro apporto alla storia dell'arte italiana.

Istruisco mio erede universale la Fondazione come sopra costituita e l'asse relitto ne costituirà il patrimonio iniziale.

In esso è compreso l'arco funerario della famiglia Pianori sito nella Certosa, di riconosciuto pregio artistico.»

A questo punto vale la pena di soffermarsi sul fatto che Giuseppe Pianori col suo testamento, creando l'omonima Fondazione - riconosciuta di personalità giuridica nel 1981 - , dota la città di Ferrara di un importante volano, quanto a un settore importante come l'espressione artistica: egli pone le basi di un organismo singolare, quel "capitale per uno scopo" che costituisce un corpo intermedio tra cittadino e Stato, tanto episodico in Italia quanto diffuso nei Paesi anglosassoni.

A nessuno poi sfugge la valenza civica di una simile operazione, in cui il capitale privato finanzia la pubblica amministrazione per un fine nobile qual è il recupero di un patrimonio disperso dal mercato dell'arte.

Ma vi è di più e sta nella scelta del Pianori di nominare Presidente della Fondazione il Presidente pro tempore della Cassa di Risparmio: il primo istituto di credito cittadino, per storia e importanza, è destinato a  rappresentare legalmente la neonata istituzione.
Il riconoscimento di un ruolo improntato alla presenza incisiva nel tessuto sociale che si è palesato fin da subito, con una serie di interventi a sostegno della collettività, dal sostegno ai pellagrosi, o pel risanamento delle case rurali; o nei settori dell'arte e della cultura, appunto, col restauro di importanti monumenti cittadini.

E che non è mai mancato in centosessantasette anni di storia, tanto da meritare l'appellativo popolare di piléta dell'acqua santa, secondo il paragone ardito, ma azzeccato, di Giorgio Bissi nel volume I centocinquant'anni della Cassa di Risparmio di Ferrara.

Con la nascita - a seguito della Legge 318/90, meglio conosciuta come "legge Amato" - della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, riconosciuta quale "Ente conferente" e pertanto "continuazione storica" della Cassa di Risparmio di Ferrara, il testimone è passato a quest'ultima: riversando i frutti benefici dell'esercizio del credito sulla comunità civile che è stata all'origine dell'istituto bancario, la Fondazione perpetua, in un contesto sociale mutato, una vocazione che viene da lontano.

La Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Massari - sotto la direzione sia di Franco Farina sia di Andrea Buzzoni - ha visto crescere in modo cospicuo il patrimonio artistico in essa conservato per una sempre maggiore fruizione da parte dei visitatori.

Per merito del testatore e di una gestione oculata dei mezzi finanziari messi a disposizione, a partire dal 1982 sono stati donati alla Galleria, oltre a una ventina di opere di Filippo De Pisis, tre quadri del vedutista ottocentesco Giuseppe Chittò-Barucchi e l'importante nucleo della collezione Bianchi-Zajna, che raccoglie il meglio dell'arte ferrarese otto-novecentesca.

L'elenco è lungo ma vale la pena di scorrerlo perlomeno in modo alfabetico, per rendersi conto dell'ampiezza del panorama e intuire la serietà dell'impegno: Bernagozzi, Casarotti, M. Chailly, Crispini, De Vincenzi, Droghetti, Ferrari, Laurenti, Legnani, Longanesi, Mantovani, Mentessi, Milani, Nenci, Pisa, Previati, Ravegnani, Tagliaferri, Ughi, Zaffarini.

 

Filippo De Pisis, Les Oignons de Socrates, Galleria Civica d'Arte Moderna a Ferrara.L'ultimo acquisto, effettuato alcuni mesi or sono, intendeva colmare una "grave lacuna" - sono parole di Andrea Buzzoni - nella raccolta dei De Pisis a Ferrara presso la Galleria: mancava un'opera che testimoniasse in modo significativo il lavoro dell'artista nel biennio 1927-28, quello delle "nature morte marine metafisiche".

Una spiaggia della Grecia antica, significata da una statua acefala che primeggia, e da un filosofo  dall'immancabile candida toga, assorto, meditabondo; lo sfondo: un cielo grigio e un mare plumbeo. Ma a "turbare" questo incanto, le pennellate vivaci di due cipolle, di un viola così marcato, tale da interrompere l'atmosfera onirica prima creata con artificio improntato a un tocco di ironia tipicamente depisisiana: ed ecco Les Oignons de Socrates, un'opera del 1927, da sempre appartenuto alla collezione privata dello scrittore André Pieyre de Mandiargues, non solo amico ed esegeta di De Pisis, ma anche marito della nipote Bona.

Esposta a Ferrara nel 1996, in occasione della mostra celebrativa del primo Centenario della nascita dell'artista, torna nella città, culla della Metafisica, che ha dato i natali al suo autore. Ritorna per restarvi per sempre, in compagnia - se così si può dire - di un altro straordinario De Pisis, I grandi fiori di Casa Massimo, datato 1931 e acquistato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara.

Per questi - come per gli altri dipinti esposti qui, come ovunque - risuonano veritiere le parole dello stesso Filippo De Pisis, raccolte in Confessioni dell'artista: «Le opere immortali! Già per modo di dire! [...] I belli, i cari capolavori che ognuno di voi ammira, che ad ognuno di voi àn donato qualcosa, conservati nelle sale austere delle pinacoteche o dei musei, che sono infine se non povera materia, quando non li riscaldi, non li faccia vivere in sè la commozione (è giusto, badate che altrimenti nulla conta), la commozione giusta e alata di chi li  osserva?»