Claudio Varese e l'avventura di

Scritto da  Carlo Bassi

Un momento quasi segreto del magistero del grande italianista. Con una nota biografica di Gianni Venturi.

La prima pagina del primo numero di Quaderno (giugno 1947).Nel lungo curriculum di italianista e di Maestro che Gianni Venturi tratteggia di Claudio Varese in queste pagine, non è menzionato (e non poteva esserlo) un momento quasi segreto del suo magistero.

Un momento che è stato, a un tempo, proposito di apertura e di dialogo nella temperie piena di entusiasmi dell'immediato dopoguerra, segno di collegamento amichevole e, direi, affettuoso con giovani che erano stati suoi allievi ma, contemporaneamente, richiamo rigoroso del Maestro ai valori fondanti della letteratura e dell'arte, dove la passione politica (che non doveva mai essere assente) doveva trovare la collocazione più corretta ed essere vissuta "con il rigore di una intelligenza limpida come il cristallo".


Nel 1945, nel giugno immediatamente successivo all'aprile della liberazione della città, usciva a Ferrara un mensile di "politica arti lettere": "Incontro" che, rifacendosi ai modelli che erano stati la fronda attiva della cultura contro il fascismo ai tempi di Bottai, si proponeva come primo foglio che parlava di poesia quando ancora la pianura padana doveva essere liberata dai tedeschi e dai soldati di Salò.
Erano state pagine lungamente preparate nei tempi dell'azione resistenziale e si rivelavano per noi, stampate, come il primo fiore dei cento che dovevano sbocciare con la conquista della libertà.
Riuscimmo a fare di quel foglio quattro numeri.

 

Una poesia di Giorgio Bassani comparsa sulla rivista.Claudio Varese guardava a questa avventura dove si mescolavano testi di Roosevelt, di Sturzo, di Jacques Maritain con altri di Mallarmé, Lope de Vega e si studiavano Sironi e Casorati e si parlava di un teorico dell'architettura Oscar Strand, con occhi attenti e la disponibilità aperta di chi vede i propri figli cominciare a camminare con le loro gambe. E quando, inquadrata in modo meno drammatico la polemica politica alla quale partecipava come figura rilevante del socialismo ferrarese, gli chiedemmo di parlarci nuovamente di poesia come aveva fatto nelle aule del mitico Istituto Magistrale che erano diventate per il suo insegnamento riferimento fondamentale per la cultura della città, decise di lavorare con noi per un nuovo giornale, questa volta di "lettere e arti": fu "Quaderno", direttore Claudio Varese, giugno 1947.

Mentre "Incontro" si presentava graficamente come oggi vediamo "Repubblica" (intuizione che voglio sottolineare), "Quaderno" si proponeva più raccolto e compatto: rivista letteraria, ma con l'abito del giornale quotidiano, sia per la carta povera sia per la stampa che avveniva nella tipografia che era stata del "Corriere Padano" dove si pubblicavano i quotidiani politici che uscivano in città, sia per i tempi che non consentivano, direi moralmente, di immaginare riviste come le pensiamo noi oggi.

Varese nel programma editoriale pensava a numeri monografici nei quali si approfondissero di volta in volta temi specifici: il primo numero (l'unico pubblicato) doveva essere dedicato alle "affinità settecentesche" e sarebbe uscito a sua cura, il secondo numero era affidato a Guido Aristarco e dedicato al cinema, allo "specifico filmico", il terzo numero lo avrebbe curato Gianni Testori e sarebbe stato dedicato alla pittura e al manifesto Oltre Guernica che aveva raccolto in quei mesi i giovani pittori del "neorealismo". Ma si accennò anche a un numero dedicato ai "pittori ferraresi dell'Officina".

Come si vede, un programma corposo che ci coinvolse profondamente in un duro lavoro. Della pittura di Gianni Testori (che sarebbe stato il Giovanni Testori critico, romanziere, scrittore di teatro, poeta, pittore che abbiamo conosciuto in questi anni e del quale ricordiamo la morte dieci anni fa), "Quaderno" fornì anzi un'anticipazione: una mostra di disegni e di opere su carta nella Galleria di Quaderno che avevamo aperto facendo un accordo con la Libreria Taddei. Si esponevano i quadri e i disegni davanti alle scansie con i libri o sui tavoli sopra i libri in mostra ottenendo un effetto di compresenza fisica della carta stampata e della carta disegnata e dipinta che ci pareva molto significativa. Fu quella, è il caso di dirlo, la prima mostra di Testori pittore.
Ma erano in programma anche le Edizioni di Quaderno con un primo volume di Claudio Varese: Marivaux, Manzoni ed altri scritti.

Parliamo dunque del primo e unico numero di "Quaderno" dedicato a "richiami e affinità settecentesche".
Il senso che Claudio Varese volle dare a queste pagine, come ebbe a scrivere nella presentazione, era volto "alla conoscenza di noi stessi, del nostro essere e del nostro tempo, della quale oggi più che mai è urgente il bisogno". E in particolare scrive: "Questo primo numero che esce dopo una faticosa lotta contro le difficoltà che la situazione generale e la provincia oppongono, si proporrebbe di richiamare l'attenzione sopra qualche affinità di alcuni narratori italiani con dei motivi dello spirito settecentesco: far notare, forse, insieme con le concordanze, le differenze fra il nostro secolo e quello così ricco ancora per noi di insegnamenti, così pieno del senso della ragione e insieme dell'entusiasmo".

In quest'ultima frase, mi pare si colga l'intima aspirazione politica del militante socialista al senso della ragione da far valere sempre contro le difficoltà della situazione generale. Il mondo della politica e dell'attualità sembra uscire dall'orizzonte di queste pagine, che paiono raccogliere solo svaghi letterari, in realtà esso è dentro, elaborato nella ricerca letteraria e nell'attenta lettura e nello scandaglio dei segni che devono prefigurarne la qualità. Il senso della ragione e l'entusiasmo: il pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà.

 

Il colophon del primo numero di Quaderno (giugno 1947). Claudio Varese aveva chiamato a collaborare gli amici pisani e fiorentini, Walter Binni e Alessandro Bonsanti, e come corrispondente da Firenze volle Lanfranco Caretti; il primo inviò un lungo testo "Appunti" sul romanzo del Settecento in Italia e il secondo un brano inedito del romanzo La buca di San Colombano dal titolo "L'ultimo Werther".
Per lui si era tenuto la pubblicazione del "Dodicesimo dialogo" di uno scrittore e di una scrittrice che sarebbe da ripubblicare tanta è la carica, l'intensità e la forza che assume il dialogo fra lo scrittore Claudio Varese e la scrittrice Carmen Federici, sua moglie, incentrato sulle affinità, le concordanze e le differenze rispetto allo spirito settecentesco presenti IN autori come Piovene ed Emanuelli i quali sembravano muoversi "dentro la propria confusione", mentre "quelli (gli scrittori del Settecento) scrivevano per chiarirsi".

Insieme a questo, avendo scoperto IN biblioteca un libro di Anonima ferrarese del Settecento, ne commenta con verve la Lettera Terza che vuole insegnare a un uomo come camminare con sicurezza "sul pericoloso sentiero dell'amore di Donna scaltra". Il titolo del libro è: Lettere scritte da Donna di senno e di spirito per Ammaestramento del Suo Amante, pubblicato IN Ferrara per Giuseppe Barbieri, 1737.

Poi c'è Lanfranco Caretti che racconta, nella sua lettera da Firenze, le molte cose che si fanno in quella città, i molti nomi che lavorano a preparare e a produrre, i molti giornali che si pubblicano, le molte gallerie d'arte che si aprono. Giorgio Bassani è presente con una poesia che è una anticipazione di Te lucis ante; Antonio Rinaldi, fresco vincitore del Premio Serra, pubblica il suo testo poetico.

Le pagine si concludono con recensioni e commenti di Adolfo Baruffi e Bruno Pultrini: si parla di Pratolini e di Sartre e dei loro ultimi libri. Conclude Claudio Varese con brevi note su esistenzialismo e nazismo.
Tutto questo è concentrato in otto pagine dense con una inserzione pubblicitaria (uno sponsor) della "Prima Fiera di Ferrara, 1-11 giugno 1947".

Rivedere e rileggere questi fogli è come risentire la voce del Maestro che ci parlava di Manzoni e di Foscolo e insieme ci invitava a leggere Thomas Mann, Bacchelli e Montale cercando in essi le "concavità" del testo.
Di "Quaderno" ebbero a parlare in termini elogiativi "Il Mondo Europeo" di Firenze "La Fiera Letteraria" e "Lettere d'oggi" di Roma, "Pesci Rossi" e l'"Illustrazione Italiana" di Milano.

Il sogno si infranse presto, IN una notte di mezza estate, più rapidamente che non per "Incontro": per difficoltà intuibili di varia natura, per la diaspora dei protagonisti, perché i tempi per queste avventure non erano ancora maturi.
Claudio Varese, e noi con lui, aveva guardato troppo avanti, oltre il contingente che era fatto di distruzioni drammatiche e di sofferenze grandi. Il tempo della poesia non era ancora arrivato e avevamo sperimentato, con "Incontro" prima e con "Quaderno" poi, che era inutile forzarlo.

Il gruppo che lavorò a "Quaderno" era composto da: Claudio Varese, direttore; Carlo Bassi, responsabile; IN redazione, Adolfo Baruffi, Bruno Pultrini, Enzo Giberti. Segretaria di redazione, Carmen Federici; redattore e corrispondente da Firenze, Lanfranco Caretti.
Un avvertimento importante: "si collabora solo per invito". Ogni numero, "L. 30"

Ricordo di Claudio Varese (23 agosto 1909-10 dicembre 2002)

La testata della rivista L'incontro. Non è facile condensare in  un ricordo il senso della personalità di un uomo, di uno studioso, di un docente; e per di più evocato da chi gli è stato allievo, amico, compagno di strada per tanta parte della vita. C'è sempre un sospetto, non facilmente eliminabile, di un "di più" che potrebbe trascendere le qualità intrinseche  di chi viene elogiato; ma per quel che riguarda la figura di un maestro come è stato Claudio Varese questo appare impossibile proprio per la sua qualità di discrezione e di abbassamento del tono alto che ha caratterizzato tutto il suo fare e pensare.

Se si dovesse indagare a fondo sulle sue scelte letterarie e critiche, immediatamente verrebbe evidenziato quel carattere etico che distingue gli autori che più hanno esercitato su di lui un attrazione potente proprio perché rispondevano ai suoi interrogativi e alle sue domande esistenziali e artistiche.

A volte, gli aggettivi riassumevano il senso della sua ricerca. Primo fra tutti "inquieto". E nel segno dell'inquietudine come ricerca morale si ponevano le sue interpretazioni più profonde di Tasso, ad esempio, del quale indagava il senso etico dell' "aspra tragedia dello stato umano"; o di Manzoni e del suo cuore inquieto che affascinava anche l'amico di sempre, Giorgio Bassani in cui la verità della constatazione manzoniana siglava potentemente l'epilogo del Giardino dei Finzi-Contini.

E Foscolo, forse l'autore più studiato e più amato, tra irrequietezza del cuore e limpidezza di pensiero, nel tentativo sempre più complesso e disperato di far convivere i due momenti della sua autobiografia: Didimo e Ortis, il "calore di fiamma lontana" in cui il critico individuava la suprema aspirazione di una passione domata dalla sublime potenza pacificatrice della poesia.

E in quegli autori e nella consonanza di una passione per la poesia che diventava regola di vita, modo di essere, civiltà e rispetto per l'uomo che Claudio Varese ha saputo, meglio di tanti celebrati maestri, esprimere con forza il senso di un ethos nel fare, nella vita, e non solo nella letteratura, nelle belle favole e nelle scelte politiche e in quell'inquieto Novecento di cui è stato protagonista oltre che interprete.

Nel ricordo i fatti della vita si confondono con i suggerimenti, le indicazioni, le vie proposte dal suo magistero umano e critico. Del suo raffinato senso dell'ironia che temprava l'austerità delle sue scelte, quella sapidità con cui Varese sapeva alleviare le pene o la tragicità dello stato umano. Come amava Marivaux, Claudio Varese!

Ma soprattutto  a noi suoi allievi, Varese ha insegnato che l'esercizio critico esercitato sugli antichi spiegava i contemporanei; ma quali antichi? Quelli che il presente sentiva necessari alla comprensione del proprio tempo. E quindi Dante letto con l'ausilio della filologia e della critica più avvertite, Dante nostro contemporaneo a cui Varese rimase fedele nel tempo. Quando nel pieno della maturità i suoi interessi si rivolsero alla filosofia è stato il problema del tempo che lo ha maggiormente affascinato: Poulet, Weinrich, Gadamer tra i più amati e consultati dai quali sapeva trarre la consonanza per capire e dialogare con Calvino e ancor prima con Montale, con Pavese e con la Morante.

 

 

Locandina per la promozione di una mostra di disegno organizzata dalla Galleria di Quaderno presso la Libreria Taddei.Nelle aule dell'Istituto magistrale di Via Romei, ricordo, si svolgeva un rito che mi è rimasto impresso come l'autentica sostanza dell'insegnamento varesiano. Lo storicista dalle radici crociane legato ai suoi maestri Russo e Momigliano indicava ai suoi studenti le voci della letteratura europea al di là di ogni schieramento critico; e allora si apriva a menti ancora in via di formazione la problematicità delle meravigliose storie di Thomas Mann o di Hermann Hesse. E i libri uscivano dalla sua biblioteca.
A quale ragazzo è stata data la possibilità, alla fine degli anni Cinquanta, di leggere questi autori, o Proust o  Musil o Kafka? E a scuola. Tramare di ricordi il lungo percorso di Varese, studioso e uomo pubblico, vuol dire ripercorrere la storia di questa città e del nostro tempo. Leggere i poeti, spiegarli, vivere consapevole della delicatezza e importanza del proprio compito di critico e di docente significava per lo studioso capire il proprio tempo e sentirsi parte della società civile.

Nessuna torre d'avorio in cui rifugiarsi per evitare la bufera della storia ma l'impegno morale a vivere con onestà e con consapevole coscienza la dignità di essere uomo, anche nell'errore, anche nelle scelte sbagliate e riconoscere con il suo amatissimo Calvino la suprema libertà dell'arte che trae la sua leggerezza, la sua grazia consolatrice dall'essere ancorata all'uomo e creata dall'uomo e per l'uomo. L'umanesimo di Varese è quindi ciò che di lui, io come gli allievi che si sono susseguiti negli anni del suo insegnamento, hanno posto alla base del loro misurarsi, prima che con il proprio lavoro, con la vita e montalianamente con i disguidi del possibile.

Gianni Venturi