Bastianino a San Paolo

Scritto da  Vittoria Romani

Un'immagine del Giudizio Universale.Dalle opere nella chiesa carmelitana è partito il moderno recupero del pittore.

Nel rievocare in un trattato i danni prodotti a Ferrara dal terremoto del 16 novembre 1570, Pirro Ligorio, "antiquario" al servizio dal 1568 del duca Alfonso II d'Este, dopo aver rammentato i danni subiti dal Castello, passa a parlare delle chiese ricordando che in conseguenza del tragico evento "rovinò affatto la chiesa di San Giovanni Battista. La facciata davanti della chiesa di San Paulo et fracassossi i fianchi. La cima del frontespizio et facciata de la chiesa di San Francesco. Si guastò li volti la chiesa della Certosa [...] mentre li Reverendi Padri officiavano et stavano chini a terra molto molestamente la chiesa si scosse et quella di Santa Maria del Vado et quella di Santo Andrea si guastarono nelli fastigj et IN altre parti".


La testimonianza trova riscontro, per quanto riguarda la chiesa di San Paolo che qui soprattutto ci interessa, nella visita pastorale di monsignor Giovan Battista Maremondi che il 14 settembre 1574, dopo aver ispezionato il monastero carmelitano annesso, della chiesa osserva "cum ecclesia ex terremotu penitus corruerit visitata tantumodo s.mi sacramenti custodia fuit bene reperta". Intanto, tra queste due date si era incominciato a ricostruire l'edificio sacro su progetto di Alberto Schiatti.

Secondo le informazioni del Compendio historico delle chiese di Marcantonio Guarini (1621) e della guida di Carlo Brisighella (XVIII secolo), la posa della prima pietra sarebbe avvenuta a opera del duca Alfonso II il 18 ottobre 1575, ma la data è messa in discussione da Luigi Napoleone Cittadella (1844) che, su base documentaria, riferisce l'inizio dei lavori al 1573; la consacrazione dell'edificio da parte del vescovo Giovanni Fontana avverrà nel 1618.

Mentre è in corso la riedificazione della chiesa di San Paolo, in Castello Bastianino e Ludovico Settevecchi sono impegnati con un'équipe di artisti nella decorazione dell'appartamento dello Specchio, la cui ideazione è stata recentemente rivendicata a Ligorio. Nuovi documenti hanno consentito di ancorare alla prima metà dell'ottavo decennio l'impresa che doveva essere giunta a buon punto nel 1574, quando, negli ultimi giorni del mese di luglio, re Enrico III di Francia, in visita alla città, fu lì ospitato.

Entro il 1574 è completato il complesso della Libreria e dell'Antichario, su progetto dello stesso Ligorio, destinato ad accogliere le prestigiose collezioni di libri e marmi antichi del duca, mentre qualche anno dopo, nel 1577, cade la grandiosa commissione della Genealogia Estense: una galleria di ritratti a figura intera di più di duecento rappresentanti della casata, affrescati nel cortile del Castello sempre su disegno di Ligorio, un ciclo che si inquadra in quel programma di autocelebrazione dinastica così importante per le casate regnanti dell'intera penisola italiana nel tardo Cinquecento, e in particolare per Ferrara e Firenze, allora impegnate in un'annosa disputa circa la maggiore antichità della stirpe, che vede opposti, senza esclusione di colpi, i Medici e gli Este.

Il 1577 è anche l'anno della commissione a Bastianino del Giudizio Universale per il catino absidale del Duomo, che si inscrive tra i numerosi progetti di rinnovamento e ridecorazione delle chiese della città, in cui sono coinvolti, accanto al pittore, nato intorno al 1532, e a Giuseppe Mazzuoli detto il Bastarolo, di qualche anno più giovane - intorno al 1536 la sua data di nascita - anche i protagonisti di una nuova generazione, risalente al 1550, che ci interessa da vicino poiché è presente quasi negli stessi anni in San Paolo nelle figure di Domenico Monio e di Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino.

A San Paolo, Bastianino approda dopo l'esperienza delle pale per il transetto della chiesa di San Cristoforo alla Certosa, riconsacrata nel 1572. Il Giudizio Universale che gli spetta per intero, ed è oggi visibile in Pinacoteca, è una suggestiva testimonianza di quella difficile scommessa che ha meritato al pittore un ruolo molto speciale nelle vicende del Cinquecento italiano: mettere insieme "con alto e tenace impegno" (Arcangeli) la terribilità e il gigantismo eroico, ma ormai senza speranza dei nudi michelangioleschi del Giudizio sistino, che Vasari (1568) aveva da poco indicato come il paradigma per eccellenza della forma tosco-romana e delle difficoltà dell'arte, con il colore dei veneti, con riferimento soprattutto alla maniera tarda di Tiziano.

Alla Certosa comincia a prendere forma quello stile "annebbiato" che Arcangeli ha mirabilmente letto come una metafora dell'autunno del Rinascimento e della crisi della civiltà umanistica, tanto più acuta a Ferrara, in quanto sede di una corte che tanto aveva contribuito all'edificazione degli ideali a essa sottesi, nei tempi di Alfonso I e di Dosso. Su questa strada, l'operazione di Bastianino era destinata a incrociare proprio il grande protagonista del Rinascimento ferrarese.

 

Bastianino, Annunciazione, Ferrara, Chiesa di San Paolo.Tra il 1520 ed il 1522, dopo essersi confrontato con Raffaello, Dosso aveva scoperto la grandezza dei profeti e dei nudi michelangioleschi del soffitto della Cappella Sistina e da quel difficile e scomodo confronto era uscito con una propria, originalissima visione espressa nella serie di tele raffiguranti sapienti dell'antichità, oggi divise fra diversi musei e collezioni private, ma felicemente riuniti in occasione della recente mostra dedicata al pittore tenutasi a Ferrara e negli Stati Uniti (1998-1999).
Messa da parte la struttura intellettuale e l'astrazione pietrificata dei nudi di Michelangelo, Dosso inventa su quei modelli un'umanità tutta diversa, resa vera dal colore e dalla materia di Tiziano, da una violenta carica naturalistica e da un'inquietudine espressiva che affondano le loro radici in quell'insofferenza verso la perfezione dello stile classico diffusasi nel mondo padano nel corso del secondo decennio del Cinquecento, prima che l'incoronazione di Carlo V a Bologna e il dominio della cristianissima Spagna sulla penisola e su mezza Europa imponessero codici espressivi del tutto diversi. Ma i tempi in cui vive Bastianino sono cambiati.

La corte che egli ha alle spalle non gode più del prestigio e della forza dei tempi di Alfonso I. Il suo Michelangelo non è quello eroico del soffitto sistino, ma l'artista sempre più tormentato e drammatico del Giudizio Universale e degli affreschi della cappella Paolina, dove allo splendore fisico dell'Adamo della Creazione si è sostituita la gravità cubica delle membra di un'umanità ormai senza scampo. Anche il suo Tiziano non è più quello turgido, vitale e splendente delle favole bacchiche dipinte per il Camerino di Alfonso I, ma il pittore delle opere estreme, percorse da una visione drammatica e violenta del mito antico, o delle opere "devotissime" dipinte per Filippo II, dove l'artista semplifica radicalmente l'impianto formale e ai concetti di armonia e di bellezza sostituisce quello di espressione, affidata a una concezione drammatica della luce e del colore che flagellano la forma, disfacendola entro uno spazio ormai privato della misura rinascimentale.

A questa evoluzione dei fatti, Bastianino è in grado di dare una risposta non meno originale di quella trovata a suo tempo da Dosso. Lo aveva capito Luigi Lanzi quando, a proposito del Giudizio affrescato nel Duomo, aveva osservato "pare incredibile che IN un tema occupato già dal Buonarroti abbia il Filippi potuto comparire sì nuovo e sì grande" e lo aveva ricordato, dopo oltre un secolo, Roberto Longhi nelle pagine di Officina Ferrarese rievocando la visione dei "titani cinerei e nebbiosi" che ha aperto la strada al moderno recupero del pittore.

Adeguandosi ai tempi mutati - il conformismo e la tetraggine dell'Italia spagnola, il clima controriformistico, la crisi ormai ineluttabile della casata estense, priva di eredi e incapace di trovare appoggi, a dispetto degli ostinati tentativi di Alfonso II -, Bastianino aveva evitato la gara con la terribilità michelangiolesca, con il titanismo drammatico delle ultime opere. Aveva dilatato la misura dei corpi grevi e impacciati, ma ne aveva estenuato la sostanza, alleviato il peso e disciolta la tensione con il suo "annebbiare". Li aveva consumati - l'espressione è di Arcangeli, intelligente e profondo interprete del mondo espressivo del pittore - con un velo di colore che pareva trasudare da dentro le forme, accordato su toni pallidi, la cui preziosità trapelava appena attraverso ombre d'intonazione cenerina.

È una concezione del colore che affatica, consuma come quella dell'ultimo Tiziano, ma anche in questo caso attenuandone il dramma e volgendolo a toni di triste elegia. Figure che sembrano "come i vetri IN un sol fiato buttati" aveva osservato Cesare Barotti (1770). In questa malinconia visionaria e impotente, in questo clima di sogno dove le figure, condannate a sparire definitivamente, si rivestono un'ultima volta del tepore della vita, Bastianino trova il suo originalissimo tono espressivo. Più che in altre esperienze pittoriche, il suo linguaggio troverebbe un parallelo nel mondo poetico di Torquato Tasso, secondo un'interpretazione avviata da Arcangeli e approfondita da Emiliani.

Il Giudizio universale del Duomo, realizzato tra il 1577 e il 1581, è stato sempre visto come la necessaria premessa alle pale di San Paolo che sono considerate il testamento pittorico del Bastianino. Dall'affresco e dalle pale della chiesa carmelitana è partito il moderno recupero del pittore.
Infatti, già nel 1621 Guarini, a neppure vent'anni dalla morte di Bastianino, avvenuta nel 1602, descrivendo la chiesa di San Paolo rammenta la pala di Girolamo da Carpi, il bel San Girolamo dipinto per l'altare dei Fabiani e proveniente dalla vecchia chiesa, cita le opere dello Scarsellino e del Bononi, artisti di una nuova generazione, a lui più familiare, mentre del Bastianino osserva che "avea una maniera differente da tutti la quale a chi piace a chi non piace", un giudizio che documenta come ormai il linguaggio del pittore dovesse apparire astruso, un fatto di cui si intuiva la grandezza, ma non più le ragioni.

Dai "lampi sublimi" delle pale di San Paolo ripartiva Longhi per riportare l'attenzione sul pittore e su di esse si chiude il bel libro di Arcangeli che porta a compimento la moderna comprensione del pittore, definendole il "vertice dell'arte filippiana" e avvertendo che con esse "entriamo in una zona dell'arte del Bastianino forse anche più difficile da intendere".

 

Bastianino, Resurrezione, Ferrara, Chiesa di San Paolo.La più antica è stata considerata la Resurrezione di Cristo, posta nel quarto altare a sinistra, dove si avvertono prelievi diretti dal Giudizio del Duomo. E' difficile guardare al dipinto senza rammentarsi la magistrale lettura dello studioso bolognese che sottolineava la faticosa ascesa del Cristo, quasi risucchiato dal groviglio dei corpi dei soldati che si divincolano faticosamente, combattendo contro il sonno, incapaci di reagire ai bagliori di luce divina, entro un'atmosfera notturna, priva d'aria e ingombra di nubi.

Nulla si ricava dalle fonti sulla committenza dell'opera e anche da un controllo effettuato sulle visite pastorali non sono emerse novità. Essendo la chiesa conventuale, pur con cura d'anime e dunque funzionante come parrocchia, San Paolo viene sempre visitata brevemente e con riguardo soprattutto all'Eucarestia, agli olii santi. Rari sono i cenni agli altari, riservati soprattutto alla più tarda cappella della Beata Vergine del Carmelo. Resta, dunque, l'ipotesi di identificare il ritratto alla base della cornice in quello di Giovanni Antonio Crispi, esperto di diritto, consigliere di Alfonso II e fratello di Orlando, a cui apparteneva, come vedremo tra poco, l'altare con l'Annunciazione nella navata opposta del chiesa.

Arcangeli e più recentemente Jadranka Bentini, curatrice della mostra dedicata al maggiore dei Filippi, tenutasi nel 1985, hanno lamentato la mancanza di appigli oggettivi per ricostruire un capitolo lungo e fondamentale nella storia del pittore, che dagli anni del Giudizio conduce alla morte, osservando come in questi due decenni i documenti noti non corrispondono alle opere pervenuteci e viceversa.

Nell'altare accanto, la pala affidata al Bastianino illustra la Circoncisione ed è accompagnata da un paliotto raffigurante un'Adorazione dei pastori di ambientazione notturna. Il soggetto era già stato affrontato dal pittore per uno degli altari del Duomo - oggi custodito nella Pinacoteca della città -, che si suole riferire ai primi anni Sessanta, di un michelengiolismo meno corrotto nella potenza dei corpi, caratterizzati da una maggiore tensione disegnativa. Lo schema è appena variato nella concezione spaziale e compositiva, ma qui il lavoro di sfinimento della forma è portato a un grado ben più avanzato.

Come nell'epoca tarda di Jacopo Bassano - impegnato anch'egli dopo la metà dell'ottavo decennio nell'omaggio a Tiziano, morto nel 1576 - l'invenzione formale non è più così importante e la si può ripetere con qualche variazione; conta piuttosto lo spirito con cui la si rivisita, l'interpretazione. Il margine creativo si sposta ora nel modo in cui schemi già sperimentati vengono riproposti alla luce di significati nuovi. E qui la forma ci appare ancora più estenuata; gli accordi di colore divengono, se possibile, più preziosi e sommessi, l'atmosfera più malinconica, stagnante e priva d'aria.

Nel paliotto, l'artificio del lume notturno che s'ispira alla celebre Notte dipinta dal Correggio per l'altare dei Pratoneri nella chiesa di San Prospero a Reggio Emilia, oggi conservata a Dresda, viene investito di un significato nuovo e tutto diverso dal recupero del grande maestro parmense che i Carracci andavano conducendo. L'aspetto virtuosistico e protobarocco è piegato a esprimere una visione "larvale" delle figure che si liberano dalle tenebre quel tanto che basta a riconoscerle.

Per tentare di ancorare nel tempo questo suggestivo linguaggio, ho provato a rintracciare qualche notizia sui Brusatini, ai quali, secondo le informazioni del Brisighella, l'altare, che oggi appare privo di stemmi o di altre indicazioni, apparteneva. La ricerca, condotta con l'aiuto insostituibile di Monsignor Peverada, ha confermato, in effetti, questa proprietà: nella primavera del 1593 Bartolomeo Brusatini si disponeva a dotare l'altare, operazione che è probabile presupponga l'intenzione di ornarlo di una pala, se non già la sua esistenza. Ma su questo punto mi riprometto ulteriori controlli.

Spostandosi sulla navata opposta, l'ultimo altare prima del transetto ospita l'Annunciazione, la terza delle pale dipinte da Bastianino per la chiesa di San Paolo. L'aspetto un po' diverso del quadro è legato al supporto: non più tela, ma tavola che non ha conosciuto interventi recenti, come invece è avvenuto per i due sopra descritti. Anche in questo caso il soggetto era già stato affrontato dal pittore qualche tempo prima di disporsi agli affreschi del Duomo, in una tela destinata alla chiesa di Santa Apollonia, oggi conservata in Pinacoteca, che si ispira alla pala tarda di Tiziano dipinta per la chiesa di San Salvador a Venezia.

 

Bastianino, Circoncisione, Ferrara, Chiesa di San Paolo."Misteriosa" è l'aggettivo che Baruffaldi adopera per commentare questa invenzione in cui il moto appena serpentinato della Vergine allude alla bellezza ricercata dei movimenti delle Sibille michelangiolesche, ma si tratta soltanto di un pallido ricordo di una stagione ormai lontana a cui fanno capo anche i dettagli di ornamentazione del tavolo, risparmiati dall'affaticamento della materia. Il grande corpo dilatato, che va rastremandosi verso la testa, affiora dal fondo oscuro e s'illumina dell'alone prezioso della luce della colomba che svela le presenze dei silenziosi e sfatti angioletti sulla destra, e del greve angelo che una misteriosa forza tiene sospeso sopra la Vergine. In primo piano, in atto di preghiera, appare l'offerente.

Secondo quanto ci informa il manoscritto del Brisighella, il ritratto sulla destra era quello di Orlando Crispi, donatore del dipinto, una notizia che l'osservazione attenta del contesto, fortunatamente conservatosi abbastanza indenne, può confermare e anzi consentire di approfondire. Appartenente a una nobile e antica famiglia originaria della Savoia e stabilitasi a Ferrara nel XVI secolo, Orlando è fratello del più noto Giovanni Maria, esperto di diritto, consigliere del duca Alfonso II e tra i riformatori dello Studio cittadino nel 1579. Morto nel 1589, dopo aver destinato un cospicuo lascito al duca, Giovanni Maria viene sepolto nella chiesa del Gesù. Orlando è ricordato nelle fonti come l'acquirente, nel 1601, del castello di Montalto con annesso titolo comitale.

Osservando con attenzione l'altare, ci si accorge che ai suoi piedi si conserva una lapide recante, in alto, lo stesso stemma ancora in parte intuibile nella cornice della pala e un testo molto corrotto, ma ben leggibile per quanto riguarda la data: il 1591. Lo stemma è quello dei Crispi e l'iscrizione può essere ricostruita consultando il prezioso manoscritto del Barotti che trascrive le antiche iscrizioni delle chiese ferraresi. In essa si legge che fu Orlando Crispi, che si qualifica fratello del più celebre Giovanni Maria, consigliere del duca Alfonso II, a porre ancora vivo "monumentum hoc" dedicato a sé e ai suoi discendenti nell'anno appunto 1591.

La lapide mi pare non possa essere interpretata altro che come una dedica dell'altare, probabilmente già ornato della bella pala del Bastianino. Acquisiamo, così, un prezioso tassello documentario per ricostruire il percorso del pittore nell'ultimo ventennio di attività, che come si è detto, può contare su ben poche circostanze note, e ci portiamo dentro all'ultimo decennio del secolo, dolorosamente segnato nel suo chiudersi, dalla devoluzione di Ferrara allo stato della Chiesa.