Ritratti di famiglia nel Politico Roverella

Scritto da  Enrico Peverada

L'identificazione dei Roverella nel polittico di Cosmè Tura

San Giorgio, conservato presso Museum of Fine Arts di San Diego, risulterebbe identificabile con il cavaliere gerosolimitano Florio Roverella.Uno sparpagliamento a più largo raggio per un polittico, tutto ferrarese, della piena maturità di Cosmè Tura non si poteva davvero fantasticare. Dei sei scomparti che lo componevano - trascuriamo qui le 'tavolette', di numero imprecisato, originariamente dislocate sulla predella - sopravvivono oggi tre parti intere più il frammento di un quarto, attenendoci per questo alla autorevole e più che collaudata ricostruzione già offerta da Roberto Longhi fin dal 1934. Percorrendo mezzo mondo, è oggi pertanto possibile ammirare la tavola centrale con la Vergine e il Bambino e "Angeli" musicanti, alla londinese National Gallery; a Parigi, al Museo del Louvre, la lunetta sommitale con il drammatico compianto sul Cristo morto, forse ispirato a qualche gruppo plastico di dolenti che a Ferrara, come altrove, hanno contrassegnato la pietà religiosa del secolo; a Roma - finalmente vicino a casa -, nella Galleria Colonna, lo scomparto di destra con S. Paolo, S. Maurelio e un "monaco ginocchioni"; trasvolando, infine, l'Oceano, a San Diego, al Museum of Fine Arts, il frammento con non molto più del volto di S. Giorgio, sparuto lacerto dello scomparto di sinistra.

La ricostruzione del Polittico Roverella eseguita recentemente dall’artista ferrarese Maurizio Bonora.In tale persistente dispersione nessun componente del dipinto ha trovato la via del ritorno, per quanto fugace, in patria: ci riferiamo alla recente mostra Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L'arte a Ferrara nell'età di Borso d'Este, dove non è stato possibile trovar traccia del Polittico Roverella; a margine della mostra e del relativo voluminoso catalogo, sia consentito dare spazio a queste rapide note, motivate anche dalla efficace ricostruzione del dipinto del Tura, creata in scala reale da Maurizio Bonora con la tecnica, decisamente povera, della grafite su carta.
Per rendersi conto di ciò che di quest'opera si è perso e per l'identificazione dei personaggi raffigurati nel suo intero complesso fa testo un citatissimo brano del settecentesco Girolamo Baruffaldi: se ne riporta il passo utile, appunto, per individuare, se mai ce li precisa, i membri della famiglia Roverella, riconoscibili nel dipinto, così da convalidare la nomenclatura con cui - quasi per antonomasia - viene comunemente indicato: quella di Polittico (o Pala) Roverella. Dopo aver rapidamente accennato al vescovo di Ferrara Lorenzo Roverella e alla sua precorsa attività di medico del papa - ma Giulio V andrà corretto in Nicolò V -, Baruffaldi prosegue indicando nella parte sinistra del polittico, che è quella scomparsa, «il ritratto dello stesso Roverella vestito con pianeta all'antica, piegata sulle braccia, che sembra vestito in foggia monacale, ma ben si può paragonare colla statua marmorea del deposito, e si vedrà essere similissimo. Sta egli ginocchioni in atto di battere colla mano non so qual cosa»;  Un particolare del monumento funebre del cardinale Bartolomeo Roverella, opera di Antonio Bregno e Giovanni Dalmata, consevato a Roma presso la chiesa di San Clemente.prosegue ricordando le figure intere dei Ss. Pietro e Paolo, quelle dei Ss. Giorgio e Maurelio e «un altro monaco ginocchioni». Cominciamo da quest'ultimo innominato personaggio, cui si accompagnano S. Paolo, che gli pone la mano sinistra sulla spalla, e S. Maurelio, costituendo nel loro insieme l'intero superstite scomparto destro. In realtà la figura inginocchiata rappresenta un cardinale, come ne fa indubitata fede la cappa magna, ovviamente di colore rosso, di cui è rivestita. Tutti d'accordo, pertanto, nel riconoscere qui il cardinale Bartolomeo Roverella, arcivescovo di Ravenna, deceduto il 2 maggio 1476. Se il volto può essere raffrontato con quello che compare nella statua giacente del suo artistico monumento funebre, opera di Andrea Bregno e Giovanni Dalmata, nella basilica romana di S. Clemente, ancora più stringente è lasomiglianza - per postura e per abbigliamento - con la sua figura, riprodotta quasi come fondale nello stesso monumento. In questo si potrà notare che il cardinale defunto viene rappresentato sotto la protezione di S. Pietro: a Roma, sotto l'egida del papa, non si poteva scegliere migliore avvocato per indicare l'ingresso nella vita eterna; nella tavola ferrarese il protettore del cardinale è S. Paolo, ritratto in tutta la sua vigoria e con tanto di spadone. Resta da chiedersi - e la domanda è più che legittima - come mai il Baruffaldi, eruditissimo prelato, abbia potuto confondere con un monaco un personaggio vestito da cardinale. Va tenuto presente che, come egli stesso scrive, il polittico di Tura, smembrato, era disseminato invari ambienti del monastero: condizioni di visibilità non  ottimali e annerimento del dipinto possono benissimo avere avvicinato, quanto a colore, il vestiario cardinalizio a quello di un monaco - di un benedettino nero Un esempio di cocolla tratto dall’Apparizione della Vergine a San Bernardo di Frà Bartolomeo.evidentemente, non certo di un olivetano - così da impedirne un sicuro riconoscimento. Ma qui è proprio il caso di dire che l'abito non fa il monaco. E veniamo al personaggio dello scomparso scomparto di sinistra, vestito - tanto per cambiare - «in foggia monacale »: l'affermazione del Baruffaldi è attenuata da un "sembra", dopo avere indicato il vestiario del vescovo Roverella - dice lui - nella «pianeta all'antica, piegata sulle braccia». L'incertezza qui del Baruffaldi - pensiamo all'esperto liturgista - diventa davvero incomprensibile. Di fatto l'effigiato non poteva essere che un monaco: precisamente, anticipiamo subito, l'olivetano Nicolò Roverella, priore di S. Giorgio e visitatore generale dell'ordine, fratello degli altri due uomini di Chiesa, Bartolomeo e Lorenzo. Dall'incerta descrizione baruffaldiana del suo vestimento si può desumere - qui, però, con sicurezza -, che il monaco olivetano indossava l'abito monastico corale più solenne, costituito dalla cocolla: veniva così  a fare perfetto pendant con la figura del cardinale in cappa magna, nella parte opposta; il bianco olivastro del saio olivetano contrapposto al rosso cardinalizio dell'abito di Bartolomeo vale anche a restituirci, con un tocco coloristico, il dipinto turiano. L'ecclesiastico di sinistra era raffigurato nell'atto di bussare alla porta del Paradiso: non altrimenti può interpretarsi il testo baruffaldiano; inoltre, è proprio sulla sua bocca che va posta l'implorante invocazione a favore della gens Roverella, rivolta al Bambino, che dorme in grembo alla Madre, Surge, Puer: di questa supplica - in realtà un distico di Ludovico Pittorio - Un comparto del Polittico Roverella, raffigurante San Paolo e San Maurelio con Bartolomeo Roverella, conservato a Palazzo Colonna a Roma. sopravvivono soltanto poche lettere sul basamento dell'organo, ai piedi del trono della Vergine. Questo atteggiamento di preghiera si addice più che naturalmente a un monaco - qui l'olivetano Nicolò - ed è pienamente in linea con la sua professione religiosa. Nicolò, poi, priore di S. Giorgio e successivamente visitatore generale dell'ordine olivetano, ci pare che avesse tutte le carte in regola per entrare nel dipinto che, solitamente, si ascrive a glorificazione del vescovo Roverella, deceduto a Monte Oliveto il 6 luglio 1474. Il cardinale Bartolomeo, nel testamento del 29 aprile 1476, tre giorni prima della morte, nella prescrizione riguardante l'abbellimento della tribuna e l'erezione della tomba per il defunto fratello Lorenzo nella chiesa olivetana di S. Giorgio, ne affidava l'esecuzione proprio alla «discretionem et conscientiam ac voluntatem» del comune fratello Nicolò. Allorché poi i monaci di S. Giorgio, nella riunione capitolare del 5 luglio 1476, consentono agli eredi di Lorenzo di costruire il sepolcro del vescovo, essi procedono considerando la «fidem et devotionem» che devono a Nicolò Roverella, al momento visitatore generale dell'ordine. Nel solenne sepolcro di Lorenzo, opera di Pietro Rossellino e Ambrogio da Milano, lo stretto rapporto dei due prelati è chiaramente indicato dal duplice stemma di famiglia, che campeggia alla base del monumento: sormontato dalla mitria episcopale quello di Lorenzo; sormontato dalla croce abbaziale quello di Nicolò: quasi a documentare nel monumento funebre una simbiosi dei due ecclesiastici che non può venir meno proprio nel luminoso Polittico Roverella. Resta forse impossibile precisare la esatta datazione - e quindi la priorità - dei due artistici manufatti: in particolare, per la tomba, non vale certo la data del 1475 che vi appare scolpita, dato che il vescovo venne sepolto a Monte Oliveto e, come informa un Cronicon della Congregazione olivetana, soltanto «post plures annos» la salma venne traslata a Ferrara e, a cura dei fratelli, come leggiamo nel solenne epitaffio di Tito Strozzi, tumulata finalmente nella splendida tomba marmorea in S. Giorgio. Monumento e polittico, comunque, dovettero essere già in opera alla data del 18 novembre 1479, giorno della consacrazione della chiesa, officiata dall'arcivescovo di Ravenna Filiasio Roverella, con a fianco in veste di testimone il fratello Antonio, insigne cavaliere e consigliere ducale, nipoti entrambi dei personaggi qui richiamati.
Le due opere vennero certamente a trovarsi così in un contesto ambientale strettamente unitario, quasi gomito a gomito, nello spazio sacro dell'antico presbiterio con l'antistante coro monastico: il Polittico, sull'altare maggiore; il monumento sepolcrale del vescovo, alla sua destra, quasi senza soluzione di continuità. Il vescovo Lorenzo, nella pala turiana, sarà da ricercare - e da riconoscere - nel S. Maurelio del comparto di destra, venendo così egli a collocarsi alle spalle del fratello Bartolomeo, quasi a formare un ‘dittico di famiglia'. Per l'identificazione di Lorenzo, a parte la somiglianza dei volti, quello del dipinto e quello della scultura della tomba - raffronti, comunque, non sempre agevoli né di immediata riuscita dato il diverso supporto dei manufatti e, qui, i contrapposti momenti esistenziali dell'effigiato -, sta soprattutto il vestimento del Santo: qui, si può dire, che l'abito fa il...vescovo. Il piviale - ma anche la pianeta, magari all'antica (ossia la casula) - contrassegna solitamente la figura di un santo vescovo, per non dire delle immancabili insegne episcopali costituite dal pastorale e dalla mitria. Motivi di equilibrio e di simmetria tra i due scomparti, caratterizzati dalla presenza di S. Maurelio a
destra e di S. Giorgio a sinistra, hanno determinato il pittore a fare indossare il camauro, di diverso colore, alle due figure, mentre il pastorale nella destra di S. Maurelio fa probabilmente pendant con l'asta vessillifera impugnata da S. Giorgio.
Ma a contestualizzare ulteriormente il vescovo Lorenzo, sotto l'aspetto di S. Maurelio, sta il piviale di cui è apparato e nel quale è da riconoscere un paramento sacro del ricco guardaroba liturgico della Cattedrale; questo così appare indicato in un inventario della sagrestia del 1462: «Unum pluviale de carmexino de auro riçato cum uno pulcerimo frixo recamato de auro et perlis cum figuris cum caputio suo recamato de auro cum s. Georgio super equo cum fiocho». Esso, con la pianeta, rappresenta il pezzo più sontuoso di un paramentale in quarto - piviale, pianeta, dalmatica, tunicella - con in più le relative rifiniture di stole e manipoli, con pure un paliotto per l'altare: il tutto di identico tessuto e identica lavorazione, per il quale venne pure utilizzata una collana di millecinquanta perle. Questo paramento era stato commissionato dal vescovo Francesco Dal Legname a metà Quattrocento, intervenendovi diversi lavoranti, tra cui anche Giovanni Baroncelli; in particolare per il fregio del piviale, nel contratto con il ricamatore mastro Antonio da Venezia, del 4 aprile 1452, era previsto che vi venissero ricamate sei figure intere e tre a mezzo busto: si sarebbe tentati di affermare che sono le figure, per quanto è riprodotto, pienamente leggibili nel piviale, rifinito di perle, che il ‘tonsurato' Cosmè Tura, dopo averlo forse ammirato sulle spalle del vescovo Lorenzo in persona nel corso di qualche solenne cerimonia in Cattedrale, potrebbe avere fissato nell'immagine indelebile del proprio dipinto. Dello scomparto di sinistra sopravvive poco più del volto di S. Giorgio. Che la resa del Santo abbia qui le connotazioni di un ritratto pare rispondere, oltre tutto, all'economia complessiva del Polittico, per non dire dell'attività ritrattistica riconosciuta al Tura. Candidato a essere identificato sotto le fattezze di S. Giorgio è un altro membro della famiglia Roverella, fratello dei tre ecclesiastici Bartolomeo, Lorenzo, Nicolò: si tratta del cavaliere gerosolimitano Florio. Lo si può ricordare, dopo la nomina a cavaliere da parte di Eugenio IV nel 1444, come inviato al governo di Benevento nel 1461 mentre vi era reggente il fratello cardinale; assolse, inoltre, a diversi incarichi politici e svolse mansioni militari, per le quali sarà da tenere presente un amplissimo ‘porto d'armi' con autorità di inalberare insegne e vessilli regali - il vessillo di S. Giorgio! -, rilasciatogli dal re di Napoli Alfonso d'Aragona, il 5 ottobre 1449. Particolarmente solenne fu la sua comparsa a Ferrara il 13 novembre del 1474, come ci fanno sapere le Croniche di Ugo Caleffini, che vale la pena rileggere in questo punto: «zunseno a Ferrara messer lo vescovo de Barri et messer Fiorio di Roverelli cavalero de San Zoanne, vicerè de Sessa per lo re Ferando de Napoli, ambasatori de dicto re de Napoli, li quali andavano per ambasatori al re de Ungaria cum trentadui cavali per concludere el parentado fra dicto re de Ungaria per madama Biatrice, fiola legitima et naturale de dicto re Ferdinando, et lo re de Ungaria che l'havesse a tore per moie sua. A che gli andò incontra il duca et messer Sigismondo suo fratello et li zentilhomini de Ferrara». Nell'estate dell'anno precedente, il cavaliere Florio aveva fatto parte del solenne corteo che aveva accompagnato a Ferrara Eleonora d'Aragona, figlia di Ferdinando re di Napoli, destinata sposa a Ercole I d'Este. Momenti solenni della vita cittadina, contrassegnati dalla presenza di un Roverella, che potrebbero aver lasciato traccia encomiastica nel dipinto del Tura, al punto di far figurare lo stesso Florio Roverella nell'immagine di S. Giorgio, patrono di Ferrara con S. Maurelio, alle spalle del fratello Nicolò: e avremmo così qui un secondo ‘dittico di famiglia'. Insomma: rispetto alla risicata e inesatta identificazione di un ‘solitario' Roverella proposta dal Baruffaldi, ci pare che i quattro fratelli riconoscibili nell'opera di Cosmè Tura - il cardinale Bartolomeo, il vescovo Lorenzo, il priore Nicolò, il cavaliere Florio -, oltre a radicare profondamente nella vicenda religiosa e civile della Ferrara quattrocentesca il dipinto, veramente ce lo restituiscano pienamente in linea col suo titolo di Polittico Roverella.

Da Enrico Peverada