Grazie, amico mio

Scritto da  Franco Farina

Don Franco Patruno nello studio di Casa Cini.Ricordo di Don Franco, sacerdote-artista dalla calda e viva umanità

Dovendo ricordare Don Franco, mi piace pensarlo a Casa Cini pronto ad alzarsi da un ingombratissimo tavolo di lavoro per venirti incontro, magari nominandoti con l'accrescitivo "one", con un largo sorriso che era testimonianza di bonomia e di cordialità, non disgiunte da simpatia, qualità che unitamente all'intelligenza gli erano naturalmente peculiari. L'ampia stanza piuttosto affastellata era il suo studio, l'atelier, il confessionale, il salotto e altro ancora.

 

 

Due tavoli: il più capiente, oltre a pile di libri, era occupato da parecchi suoi elaborati grafici, cartelle, album, cartoni telati e non, dépliants; a ridosso, un tavolino con il piano inclinabile per disegnare e, a portata di mano, una marea di matite, pennarelli, gessetti e pastelli colorati, chine, carboncini e tanto altro ancora; il tutto idoneo per ricavare varietà di segni, e pronti per essere utilizzati. Un cavalletto professionale e polifunzionale di quelli tosti, aveva sempre in bella vista un'opera recente, un modo tacito per chiedere pareri. Da qualche tempo applicava ai lavori piccoli tocchi cromatici, tuttavia per lui il nero, "tinta" proverbialmente drammatica, assecondava il suo bisogno di essenzialità e rigore espressivo.

 

Poi l'altro tavolo, "il direzionale", abbastanza vicino al salotto, dove c'era di tutto: libri appena comprati, libri letti a metà con il proposito di intraprenderne in seguito di nuovo la lettura, giornali arretrati e quelli del giorno, ritagli, riviste, libri di consultazione per un intervento critico, curricula di artisti con relativa documentazione, piani di esposizioni e d'attività culturali, giochini e peluches, computer e altro ancora, perché l'elencazione potrebbe continuare. In posizione privilegiata, l'agenda ed il breviario, il libro liturgico contenente l'ufficio divino che i sacerdoti devono recitare ogni giorno. In questo ambiente rivestito di scaffalature sovraccariche di libri confessava e adempiva alle mansioni derivanti dall'essere prete.

 

Don Franco Patruno e da sinistra, lo scultore Nino Mezzano e Mons. Natale Mosconi.Amava guidare nonostante sbagliasse spesso i percorsi e i suoi modi aperti e sinceri lo rivelavano uno schietto compagno di viaggio; i tanti che ebbero la fortuna di stargli vicino ricorderanno le boutades scherzose e sagaci che derogavano dagli affanni della quotidianità, anche per riderne. Era un giocoliere della parola con bisensi, scambi di vocale, zeppe e anagrammi; da un dettaglio figurato prendeva spunto per coinvolgere l'impensato. Nonostante l'aspetto pacioso, dovuto anche alla "stazza", sotto sotto era persona sensibilmente inquieta, coltivava ideali alti socialmente di impronta dossettiana che trovavano corresponsione nell'essere un cristiano fervente e rigoroso.

Mi ricordo i suoi esordi di aspirante pittore a conclusione della "Dosso Dossi", perché è da lì che prendono avvio i suoi interessi che sono stati sorretti da una riflessione che coinvolgeva non solo la storia sempre  attuale del linguaggio figurativo e non, ma successivamente anche l'attenta osservazione degli altri media come la fotografia, il cinema, la televisione. Sono queste le strade percorse e gli eventi che ha vissuto, attraversato e interpretato, tanto da essersi configurato come personaggio che ha incarnato senza pause un andamento culturale di rilievo prestigioso.

 

Don Franco Patruno Accanto a tutto questo si devono considerare gli aspetti certo non secondari riguardanti la ricerca e la produzione articolata del fare arte, così come si è potuto agevolmente constatare e apprezzare nella recente rassegna personale al Padiglione d'Arte Contemporanea di Palazzo Massari, non a caso titolata "Percorsi".
Don Franco sapeva bene che l'artista è l'artefice di un personale progetto di creazione giocato sulle capacità tecniche insieme all'abbandono della mano intrisa di esperienza e di memoria che non si identifica in un catalogo di "istruzioni per l'uso", ma piuttosto in un profondo deposito di pulsioni e di forme. Così diceva quando insieme visitavamo gli studi di giovani artisti esordienti che poi presentava in catalogo.

 

Importante e per molti aspetti esemplare la sua collaborazione alla Terza pagina de L'Osservatore Romano con le recensioni alle grandi mostre, le interviste ai personaggi di primo piano della cultura nazionale, i profili storici e patrimoniali di importanti pinacoteche, gli interventi e i contributi di vario genere coinvolgenti la cronaca ed il costume. Molto seguiti i commenti al Vangelo sul settimanale della Curia La Voce e in particolare sul Carlino. Analoghi interventi sull'emittente locale di Telestense, quasi un telepredicatore suadente e pacato. Poi alcune pubblicazioni: racconti "spiccioli", da tascabile, estrapolati dallo scaffale della memoria e accarezzati con la nostalgia dei "bei tempi", felici e ormai lontani. Va qui ricordato con forza che per quasi un ventennio è stato il direttore di Casa Cini; meglio: l'Istituto di cultura Casa Cini si identificava in Don Franco. Si è trattato, per circostanze particolari e  forse irripetibili, di avere conciliato una sede espositiva con l'esplorazione delle innovazioni e della ricerca, con la divulgazione in generale, due elementi basilari della crescita che non sono solo di complessità sociale,  ma frutto di una molteplicità di saperi e di punti di vista che necessitano di essere discussi, capiti, integrati e resi disponibili.

 

Don Franco Patruno Non è qui possibile evocare singolarmente le collaborazioni e i contributi preziosi di chiarezza in occasione di mostre visitate insieme, dove il rapporto di quasi colleganza ha sempre fatto perno sulle reciproche competenze e sulla correttezza professionale, lui ancora operativo e io ormai pensionato. Sempre sul filo dei ricordi non posso esimermi dal precisare che alle tante qualità si appaiava qualche difetto, come è per tutti gli umani indistintamente, e se li sfioro in questo ricordo postumo non è per togliergli qualcosa ora che si trova in un'altra dimensione, quanto, piuttosto, per sottolineare i limiti umani  di ognuno, che altro non fanno che apprezzare ulteriormente gli estesi lati positivi.
Enumeriamo intanto le Virtù Teologali: Fede, Speranza e Carità; erano per Don Franco professione assidua di religiosità. Poi le Virtù Cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, che investono la sfera civile del credente, non lo coinvolgevano totalmente.

 

Défaillances trovavano spazio nella Temperanza, manchevolezze che nuocciono più a se stessi che agli altri e che di conseguenza si pagano di persona. Le virtù non possono non chiamare in causa i Vizi Capitali che possono essere agevolmente reinterpretati nel vissuto di ognuno e nel relativismo della società contemporanea. La Superbia come arroganza e l'Avarizia come cupidigia gli erano distanti anni luce.
Don Franco era prodigo con i postulanti-habitués e non solo con loro. Non aveva, come è stato detto e ripetuto, le "mani bucate": addirittura non aveva le mani, e nessuna cognizione della carta moneta rapportata alle cose. Credeva fermissimamente nella Divina Provvidenza alla quale economicamente si affidava. Non so dire sulla Lussuria; la sua è stata una vocazione adulta, motivo questo che lo pone al riparo anche dalle resipiscenze delle rinunce pur apprezzando il Bello che tanto spazio ha trovato nella sua arte.

Don Franco iracondo: questo vizio era fuori dal suo contesto mentale. La gola, la gola sì, è stata veramente il suo "Tallone d'Achille", il suo limite e la sua debolezza più cogenti. Buongustaio, era dedito, fintanto che ha potuto esserlo, ai piaceri della tavola e della convivialità, tanto che astinenze e digiuni hanno parecchio rattristato il suo tramonto esistenziale. L'Invidia, come prigione dell'Io e dell'orgoglio, e l'ultimo vizio, l'Accidia, come disaffezione e indifferenza, non lo riguardavano in alcun modo. Confesso che non ho la più pallida idea di quali siano le prerogative per godere del "Paradiso"; so però quali sono le qualità per essere benevolmente ricordati, qualità che Don Franco possedeva naturalmente.

Di una cosa sono certo, anzi certissimo: era buono e caritatevole e, pensando che anche il suo prossimo lo fosse, era indulgente e comprensivo nel suo rapportarsi col mondo. Non sbagliava perché, a  ben pensarci, è questo il modo più fattivo di essere cristiani.
Quindi, caro Monsignore, ti ringrazio di essermi stato amico.