Un vescovo amato dal popolo

Scritto da  Gianna Vancini

Il Beato Alberto Pandoni.Le antiche radici del culto del Beato Alberto Pandoni.

Il recente ritrovamento di due documenti coevi conferma le notizie legate all'approvazione del culto del vescovo di Ferrara, Alberto Pandoni.

Alberto Pandoni (1200 ca.- 1274), appartenente alla nobile famiglia bresciana dei Pandoni, dopo aver ricoperto cariche a Roma, da papa Innocenzo IV è nominato vescovo di Piacenza (1244-1246). Difensore degli ideali guelfi, si trovò presto in contrasto con le forze ghibelline operanti nel piacentino, che ne determinarono la fuga a Roma. Nel 1258 ca., papa Alessandro IV lo eleggerà vescovo di Ferrara, dove il Pandoni resterà fino alla morte, nel 1274.


Durante l'episcopato di Piacenza, oltre alla crociata antighibellina e alla partecipazione al primo Concilio di Lione, il Pandoni avrà il merito di istituire lo Studio pubblico e di migliorare la formazione del clero. Dopo alcuni anni di forzata cattività a Roma, giunto a Ferrara nel 1258 ca. visse il periodo politico della presignoria estense di Azzo VII e della conferma popolare di Obizzo II (1264).

Per la sua intensa azione pastorale fu amato da subito dal popolo ferrarese. A Ferrara, al Pandoni si debbono l'erezione dell'antico Palazzo del Vescovo sito in via Gorgadello e lavori di completamento della cattedrale; nel 1270, egli diede il consenso ufficiale al culto della Beata Beatrice II d'Este, figlia di Azzo VII e, poco prima della morte, benedisse la prima pietra dell'antica chiesa di S. Domenico. Dal 1274 riposa in S. Giorgio fuori le mura, secondo la sua volontà; dal 1419, i suoi resti sono collocati in un sarcofago quattrocentesco che funge da mensa nell'altare di S. Benedetto. La sua venerazione, congiunta a quella di S. Maurelio, fu rinverdita dopo l'arrivo degli Olivetani nella chiesa di S. Giorgio (1415 ca.) e dopo l'approvazione del culto ab immemorabili, dettato dal decreto di papa Urbano VIII (1625).
Un'incisione del primo Settecento, di Giuseppe Maria Fabbri, conservata tra le iconografie della Biblioteca Comunale Ariostea, vede inquadrato in una struttura architettonica il vescovo Alberto Pandoni al centro dell'immagine, in abito episcopale, benedicente, con il pastorale in mano. Ai piedi del Beato, a destra, è la città di Ferrara. Sempre a destra, dietro il Beato, fa da quinta un albero sul cui sfondo è la chiesa suburbana di S. Giorgio; a sinistra del Beato, una grande tenda.
L'incisione riporta una didascalia in latino che recita così:

Effigies Beati Alberti Pandoni Episcopi Ferrariensis
cujus Corpus in Ecclesia S. Georgii Monachorum
Olivetanorum ejusdem Civitatis colitur. Festivitas
ejusdem die 14 Augusti celebratur sub auspiciis R.mi
D.Ignatii Antonioli dicti Monasterii Abbatis
meritissimi
Joseph M. Fabbri for. Bononia
in signum perpet: obseq: F.L.R.O.O.

A matita, sotto la didascalia, c'è un'indicazione postuma relativa al secolo di esecuzione, - il XVIII -, la cui data è di facile individuazione se si confronta la didascalia dell'incisione con il testo del cartaceo annesso alla sepoltura, testimonianza di ciò che avvenne a S. Giorgio nel 1734 circa il culto del Beato.

Da Jo. Hyacinthus Sbaralea (1687-1764), nel codice latino Notae et additiones ad Italiam sacram Ughelli, si apprende che da Roma, il 5 settembre 1734, giunse ai monaci Olivetani di S. Giorgio fuori le mura, il permesso ufficiale del culto del Pandoni, che fu festeggiato con solenne apparato. Il testo del cartaceo in questione dopo aver citato l'episcopato ferrarese del Pandoni, la morte avvenuta il 14 agosto e la sepoltura in S. Giorgio fuori le mura per precisa volontà testamentaria del vescovo bresciano, afferma che nel 1734, mentre era reggente in S. Giorgio il reverendo abbate Ignazio Antonioli, con il permesso del Cardinale Ruffo vescovo di Ferrara, fu concesso di togliere "un pezzo d'osso dal Sepolcro" per fare la "Festa" del Beato, offrendo la reliquia "alla pubblica devozione". Ciò avvenne il 5 settembre 1734, di domenica, con l'esposizione della statua d'argento e della reliquia del Beato sull'altare maggiore.

La delicata operazione di "togliere un pezzo d'osso dal Sepolcro", fu eseguita da "fra Luduino Ravicini". Proprio lui fu anche il committente dell'incisione come prova l'espressione "in signum perpet. obseq. F.L.R.O.O.", dove la sigla finale sta per "Fra Luduino Ravicini Oblato Olivetano". L'incisione fu realizzata perciò per la circostanza solenne di cui parla il cartaceo: è proprio il nome di fra Luduino Ravicini presente nei due documenti a precisare il periodo di esecuzione dell'incisione, gli anni 1734-35, corrispondenti al rettorato dell'Antonioli a San Giorgio fuori le mura, come si apprende dalla biografia.

L'abate Ignazio Antonioli (1673-1739) entrò nell'Ordine Olivetano il 19 aprile 1689 ed emise la professione religiosa il 2 luglio 1690. A San Giorgio fuori le mura, IN qualità di Rettore, sarà testimone dell'arrivo del permesso ufficiale al culto del Beato e della "Festa" di cui parlano la pergamena e l'incisione.
Nel documento cartaceo, significativo è pure il riferimento ALL'episcopato del Cardinale Tommaso Ruffo che, dopo essere stato Legato nella città e diocesi di Ferrara nel 1710, ne divenne vescovo dal 1717 al 1738, continuando però la sua attività di amministratore apostolico della diocesi ferrarese fino al 1740, anno in cui fu nominato vicecancelliere di Santa Romana Chiesa.

L'episcopato del Ruffo è contraddistinto dalla forte personalità del personaggio: vescovo volitivo, uomo politico, cultore dell'arte. Al suo nome sono legate realizzazioni importanti: la Cattedrale, il Palazzo Arcivescovile, il Seminario e la creazione della sua ricca biblioteca, la riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche, la parificazione sul piano giuridico dell'Università di Ferrara con quella di Bologna, la soluzione dell'ius-metropolitico (1725-35) tra Ferrara e Ravenna, che porterà all'autonomia della Chiesa ferrarese e ALL'acquisto del titolo di arcivescovo per il Pastore di Ferrara. E ciò proprio in quel triennio 1734-36 che segnò anni economicamente positivi per il territorio diocesano.

In quel periodo si colloca anche l'evento dell'approvazione ufficiale del culto del Beato Alberto Pandoni (1734), che il Cardinale Ruffo favorì con la realizzazione della festa di cui parla il cartaceo annesso alla sepoltura: ciò è perfettamente in linea con l'amore del Ruffo per il fasto e le processioni e con la consapevolezza dell'importanza dei culti locali e popolari.