Il paesaggio del Verginese

Scritto da  Ada V. Segre

La preziosa mappa disegnata da Vincenzo Bertoni, datata 1821.Un'antica Delizia estense, oggetto di un intervento di restauro.

Il progetto di restauro di una porzione di giardino della Delizia del Verginese è stata una bella occasione per riscoprire il paesaggio della pianura orientale ferrarese, comunemente denominata Polesine di San Giorgio. Tale progetto, commissionato dal Comune di Portomaggiore in consociazione con la Provincia di Ferrara, è stato redatto da chi scrive, assieme all'architetto Giampaolo Guerzoni e agli agronomi Giovanni Morelli e Stefania Gasperini. Il nuovo giardino è in corso di realizzazione e se ne prevede il completamento, anche grazie a un finanziamento della Cassa di Risparmio di Ferrara, per la fine dell'anno 2003.


Il giardino oggetto dell'intervento attualmente è un grande prato, compreso fra la facciata orientale della Villa-Castello e la suggestiva Torre Colombaia da un lato, e fra la strada pubblica e il condotto del Verginese dall'altro. Se ne conosce il disegno settecentesco e ottocentesco, oggi scomparso, ma, pure nella sua semplicità, esso costituisce ancora uno spazio dal quale l'occhio può spaziare sul paesaggio circostante, incanalandosi attraverso il cannocchiale prospettico creatosi fra il portale orientale dell'edificio e il vano aperto della Torre Colombaia. In realtà, approfondendo un poco lo studio dei luoghi, è stato possibile risalire alla sistemazione paesaggistica dell'intero Verginese, e a capire che il suo inserimento nel paesaggio fu opera ponderata e non priva di una certa grandiosità.

Le notizie certe giunte sino a noi, che permettono un'analisi dettagliata dell'assetto territoriale, risalgono alla metà del Settecento, periodo di grande rinnovo delle proprietà terriere della zona, spesso dimenticato e non valutato sino in fondo, mentre quelle relative alla fine del Quattrocento e ai primi del Cinquecento sono scarne, e non corredate da documentazione visiva.

È tuttavia noto che, sin dalla fine del Cinquecento, il Verginese costituisce il nucleo di una vasta tenuta agricola, che dall'omonimo condotto, posto a mezzogiorno e a oriente, prende il nome. La tenuta, costituita da numerosi poderi, era formata prevalentemente da prati e pascoli, nonché da arativi intercalati da filari alberati e viti. Alla fine del Quattrocento, in seguito alla trasformazione del casamento in palazzo, avvenuta sotto la supervisione di Biagio Rossetti (1485-88), il nuovo Palazzo, con i suoi poderi, fu concesso in uso dal Duca Alfonso I al Duca di Sora Sigismondo Cantelmi, il quale, assieme al figlio Francesco, lo gestì in maniera da trasformarlo in una pregiata castalderia produttiva. È bene ricordare che il primo insediamento era costituito da una casa in mattoni con tetto, che si era sviluppata attorno alla torre (oggi torre nord-ovest del Palazzo) in un luogo che emergeva dalle acque, laddove le digitazioni del Sandalo con i suoi continui spostamenti, avevano lasciate libere alcune terre emerse.

Il condotto del Verginese, realizzato nel corso del Cinquecento dagli Este, veniva a sostituire il Sandalo, interrato sin dal tredicesimo secolo, e a drenare le terre basse che da Voghiera, attraverso il Belriguardo, si estendevano verso sud-est. Oggi, il condotto del Verginese ha perso questa funzione a seguito delle grandi bonifiche, e, se non fosse per le acque immesse a monte dalle pompe di Campocieco, sarebbe ridotto al ruolo di fosso di scolo della partitura campestre. In una prospettiva storica, tuttavia, è bene ricordare che le terre del Verginese furono strappate alle acque, e che questo costituì il primo intervento paesaggistico di grande portata.

Alla morte di Alfonso I (1534), la proprietà fu ereditata dalla sua compagna Laura Eustochia Dianti e dai loro figli, Alfonso e Alfonsino. Si sa, e si evince dall' osservazione delle stratificazioni architettoniche, che Laura Dianti ampliò il Palazzo, trasformandolo in una Villa-Castello, facendo aggiungere, fra l'altro, tre finte torri agli angoli dell'edificio, per fargli assumere le sembianze di una dimora signorile, secondo i canoni architettonici in voga nel ferrarese ai primi del Cinquecento. Esistono altri esempi vicini di Ville-Castello, rese tali dall'inserimento di torri angolari, fra i quali si ricordano la Villa di Montesanto, bombardata nel 1944, nonché la villa "Le Casette" di Comacchio, oggi scomparsa.

Una vista aerea della delizia del Verginese.In ogni caso, non è stata ritrovata documentazione certa sugli interventi operati per conto della Dianti, e il possibile coinvolgimento di Girolamo da Carpi nella ristrutturazione cinquecentesca del Palazzo rimane, per il momento, soltanto una suggestiva ipotesi.

Laura Dianti permane una figura storica romanticizzata, e, pertanto, non stupisce vi sia ancora chi sostiene di sentirne lo spettro passeggiare di notte fra le sale del Palazzo. Si sa che con il passaggio della residenza estense a Modena, buona parte dei poderi del Verginese vennero dati in usufrutto o venduti, e sicuramente lo fu la Torre Colombaia, con il retrostante omonimo podere corredato di ponte e tratto di condotto, ceduti alla famiglia Pecchiati (1590-1603). Non vi sono notizie sulla sorte dei luoghi nel corso del Seicento e sino ai primi del Settecento, e per questo lungo periodo di buio, possono valere tutte le ipotesi. Si può pensare a un periodo di quiescenza, durante il quale non avvengono stravolgimenti radicali all'assetto territoriale. È necessario un salto nel tempo per poter conoscere in dettaglio la composizione della Tenuta del Verginese, con le denominazioni, la superficie, la destinazione d'uso e la proprietà di ogni singolo podere.

Infatti, la perizia di Vincenzo Bertoni del 1821, corredata di una mappa ricca di dettagli, e di stime degli edifici e degli spazi aperti, costituisce la fonte di informazioni storiche più ricca e precisa fra quelle emerse finora.
Inoltre, fornisce un punto di raccordo temporale che permette di stabilire con certezza che le sistemazioni ai primi dell'Ottocento erano di fatto molto simili a quelle del 1762, anno per il quale si hanno numerose notize, nonché che queste ultime erano già presenti sul territorio da diverso tempo. Ad esempio, nel 1762 è testimoniata l'esistenza del porticato di raccordo fra il Palazzo e la Chiesa, di cui peraltro non si conoscono altri dati.

Pertanto, il corpus di documenti Bertoni permette di capire al meglio la documentazione del 1762-4, costituita dai capitoli nuziali Roverella-Bevilacqua e corredata da stime e perizie che sicuramente erano in origine ricche e dettagliate, ma di cui soltanto un parte è stata ritrovata. La mappa di Giovanni Migliari (1762) è incompleta, probabilmente preparatoria di quella allegata alla stima congiunta dei periti Migliari e Farina (8 luglio 1762), oggi perdute, di cui si sono trovati i riferimenti in una copia sommaria fra gli allegati dei capitoli nuziali già ricordati.
I periodi meglio documentati del Verginese sono quelli relativi alla proprietà Roverella (1748-1764) prima e Bevilacqua poi (1764-1828). 

La documentazione rimane, pertanto, frammentaria; complicata ancor di più è la ricostruzione della proprietà dei luoghi, in quanto la Tenuta del Verginese era composta da diverse Possessioni, ognuna delle quali era suddivisa in diversi poderi o "braglie". Nel corso dei secoli, vi sono stati passaggi di proprietà di numerosi poderi afferenti alle Possessioni, ma anche situazioni di godimento e usufrutto, che restituiscono un'immagine a mosaico, di cui solo poche tessere sono a noi note. Per quanto concerne la proprietà delle tre possessioni principali (Del Palazzo, Majero, e Roveri), si è potuto risalire sino a Gasparo Dal Monte, che nel 1748, nell'ambito di un'eredità, ne trasferisce probabilmente una parte alla famiglia Roverella, anche se sinora non è stato possibile definire con certezza di quali terreni in area del Verginese si trattasse. 

Un'immagine del Verginese.Sembrerebbe che il Settecento sia stato un periodo di attività imprenditoriale e di sviluppo dei luoghi, come emerge anche dagli interventi all'interno degli edifici, e come avviene, del resto, nella vicina Gambulaga. La conclusione della proprietà Bevilacqua corrisponde al declino dei luoghi, e dà il via a una serie di passaggi di proprietà che si concluderà con l'avvocato Enrico Fontana, e con la cessione, in tempi recenti, del Palazzo, del giardino e di una piccola area a essa adiacente alla Provincia di Ferrara.

Nel 1533, al centro del Verzenese si ha un "casamento" con "orto", "broilo", "vigna" et "colombara", ovvero una castalderia con annesse coltivazioni specializzate per la produzione di ortaggi, frutta e vino. Questa si trovava al centro di due possessioni agricole, di dimensioni e posizione non note, ma nelle quali si allevava bestiame, si produceva lana e formaggio, e che forniva lavoro a castaldi e braccianti. Emerge principalmente la produzione zootecnica, mentre quella agricola rimane circoscritta alle vicinanze del casamento, alla quale quella viticola pur si aggiunge successivamente al 1481.

I terreni circostanti dovevano pertanto essere prevalentemente adibiti a prato e a pascolo, un utilizzo tipico di terreni poveri, come se ne trovano prevalentemente a nord e sud-ovest del complesso del Verginese. Si ritiene pertanto che, nel periodo compreso fra il 1481 e il 1533, Sigismondo Cantelmi, e il suo erede Francesco, abbiano posto le basi per trasformare il luogo in un centro agricolo produttivo, grazie a una conduzione oculata e imprenditoriale, e, che, al momento della restituzione alla Camera Ducale, il Verginese fosse diventato una castalderia agricola redditizia e appetibile.  

Nel 1590, come si evince da una descrizione del perito agrimensore Bartolomeo Coletta, il Palazzo del Verzenese permane al centro di una possessione di proprietà del Principe Cesare d'Este, formata da numerosi poderi, oltre al Palazzo stesso con annessi broli e giardini. Si tratta di terreni sistemati per l'inserimento di filari di alberi e viti (abrajati), di arativi, con prativi e pascoli. I terreni sono lavorati da Agnolo Cavalino, che in prossimità del Palazzo pianta "d'opi alla rustichalle" (aceri campestri potati alla rustica, forse capitozzati) e "per dentro frutari e morari", ovvero 250 alberi da frutto all'interno del giardino, circondati da gelsi disposti secondo uno SCHEMA noto, forse lungo i bordi dei compartimenti o a quinquonce.

La tradizione zootecnica non si perde, poiché anche nel 1762 al Verginese risultano essere presenti capi di bestiame bovino, vaccino, suino, cavallino, e pecorino, mentre si consolida la produzione di vino e la produzione di legname da lavoro di olmo. Per quello che concerne i seminativi, la coltivazione dominante è di frumento, seguita da orzo, e in misura decisamente minore da ceci, lino, canapa e fava. Si rileva un impiego esteso di olmi (Ulmus campestris L. syn., Ulmus carpinifolia Rupp. ex Suckow) e roveri (in realtà farnia, ovvero Quercus robur var. 'pedunculata'), per la produzione di frasca e legno; in particolare, è l'olmo a fornire il legname da lavoro impiegato in campagna, per il sostegno delle viti lungo le strene, denominazione tipicamente ferrarese relativa ai filari di vite maritata a tutori vivi.

Un'immagine del Verginese.Il sommario della perizia perduta del Farini-Migliari testimonia che nel 1762, le fabbriche dominicali, il giardino sul lato di levante e il lungo prato su quello di ponente, vengono scorporate dal resto dei poderi agricoli che compongono la Possessione del Verginese, in quanto concepite come un'area unitaria, diversa dalle altre a destinazione prevalentemente produttiva. Le motivazioni puntuali della scelta di allora erano dettate dalla necessità di mantenere il godimento dei luoghi sino alla morte del Conte Roverella, ma questa implica una visione paesaggistica che stabilisce quali terreni siano parte costitutiva delle aree circostanti il Palazzo, con valenza di spazio ameno. Si ritiene che la superficie indicata nella perizia corrisponda a tale delimitazione e costituisca l' unità paesaggistica storica fondamentale del Verginese, oggi erosa soprattutto sul lato di ponente, dove la magnifica prospettiva sulla facciata occidentale della Villa-Castello è quasi interamente scomparsa, a eccezione di uno stretto cannocchiale sulla torre sud-ovest.

Si tratta del "Prativo con Olmi lateralmente allo Stradone di Stara 40:0:31/2" della mappa del Migliari del 1762 o del più pittoresco "Prato della Vedetta" come lo denomina il Bertoni. Questo prato fu quasi sicuramente trasformato in monumentale viale di accesso verso metà la Settecento, delimitato da un doppio filare di olmi prima (1762), ai quali si aggiunsero non meno di sette file di alberi fruttiferi sul lato nord, nel 1821.

La peculiarità di questo viale è insita nella sua lunghezza, circa 400 metri dal Palazzo alla Strada Pubblica per Maiero, e altrettanti in prosecuzione verso ovest. In altre parole, a metà Settecento si intraprende una sistemazione paesaggistica di grande respiro, sicuramente ispirata dagli interventi "alla francese" evocati un po' ovunque in Europa, ma che assume caratteristiche specifiche in questo luogo remoto, privo di corte, e dotato di un paesaggio in cui la campagna prevale sul disegno a scopo di delizia. È lecito lasciarsi trasportare dall'immaginazione, e raffigurarsi idealmente l'intera facciata occidentale della Villa-Castello, visibile a distanza, nel contempo polo di attrazione e termine di una imponente prospettiva. 

Il paesaggio storico circostante il Verginese era segnato innanzitutto dai corsi d' acqua - condotti, scoli o fossi - che determinavano l'ubicazione delle terre emerse o "dossi", e di conseguenza i tracciati delle strade principali e di quelle di campagna, nonché l'ubicazione dei ponti. Su questi era imperniato un sistema di partitura dei poderi, detti tramidi nella terminologia settecentesca, delineati dalle strade poderali e dagli allineamenti delle strene, doppie o scempie, ovvero dalle piantate di vite maritata all'olmo, al noce e alla farnia, e, probabilmente, in un passato più lontano, anche all'acero campestre. L'orientamento dei poderi seguiva un criterio coerente, con il lato breve delle partiture rettangolari parallelo ai corsi d'acqua, e quello lungo, a essi perpendicolare.

Tale assetto sopravvive nella sua struttura di base, sebbene in forma semplificata, poiché molti elementi sono scomparsi. Infatti, molte partiture, fossi e strade poderali interne non esistono più, e le sistemazioni a cavalletto risultano depauperate, laddove le strene sono state sostituite dai filari dei frutteti. Qualche strena, dimenticata perché dislocata ai margini di un terreno, sopravvive ancora, anche nelle immediate vicinanze del Verginese. In altre parole, i tramidi, ovvero la trama del paesaggio, risulta oggi un po' sfilacciata, sebbene, fortunatamente, non abbia subito strappi violenti dovuti a una edificazione intensiva.

Osservando la mappa del Bertoni, si nota la frequenza della denominazione "Terreno abbragliato", che si riferisce a un terreno lavorato in profondità per permettere l'inserimento di filari alberati o di viti, alla cui descrizione seguono una denominazione identificativa e le caratteristiche pedologiche. Ad esempio, il "Terreno abbagliato detto dello Capitello", posto a nord-est del Palazzo, è così chiamato per la presenza di un capitello all'incrocio di due strade; nel contempo, questo è anche un "fondo per 1/2 Forte e per il resto di due sapori", ovvero metà della sua superficie ha terreno argilloso, mentre il resto è di medio impasto (n.11 nella mappa del Bertoni).

I dati forniti sulla qualità del terreno permettono di individuare le zone emerse e quelle a fondo sabbioso e ghiaioso, dove scorrevano gli antichi paleoalvei dei corsi d'acqua. È oggi possibile determinare quasi con certezza che il tracciato della Strada del Verginese è terra emersa da lungo tempo, in quanto sono state di recente ritrovate alcune tombe romane del I sec.d.C. perfettamente conservate, la cui presenza in prossimità della strada è indice sicuro di terre non sommerse. Anche il Capitello da cui l'omonimo terreno, ancora presente nel 1821, conferma la presenza di un insediamento storico antico sullo stesso percorso, forse riposizionato all'incrocio fra due strade in un tempo successivo.

Fra le caratteristiche paesaggistiche che chiaramente si leggono nella mappa del Bertoni, è importante ricordare la sistemazione paesaggistica dei fossi, sulle cui rive venivano inseriti piante di salice per la produzione annuale del vimini da legatura (Salix viminalis L.). Questi erano piantati a quinquonce, ovvero disposti su filari alternati fra due argini, e con allevamento a capitozza, affinché producessero annualmente nuovi e flessibili rami. Questo uso, coerentemente rappresentato lungo tutti i corsi d'acqua nel 1821, è oggi quasi completamente scomparso. Solo sporadici lacerti, materializzati in isolati individui arborei lasciati crescere liberamente, si possono ancora osservare in qualche punto nella campagna del Verginese.

Lungo i condotti e gli scoli si stendevano anche le cavedagne, strade parallele agli argini, a volte su un lato soltanto del corso d'acqua, per permettere il passaggio dei buoi che trainavano le barche e trasportavano le merci. In corrispondenza dei ponti, come quello retrostante la Torre Colombaia, era possibile cambiare lato dell'argine o effettuare una curva. Ai corsi d'acqua storici, si aggiungono gli invasi oggi creati dalle cave di ghiaia, fra cui si ricordano quelle della Campanella e del Verginese. Questi laghetti artificiali creano punti d'interesse nuovi, con possibilità di uno sviluppo paesaggistico importante nella creazione di percorsi turistici. 

La mappa allegata alla perizia di Giovanni Migliari, redatta nel 1762. Dalla documentazione frammentaria pervenuta, è possibile sostenere che nel 1762, l'area a levante del Palazzo fosse denominata "Giardino", sia nella scarna planimetria, che nel libretto di campagna del Migliari, contenente gli appunti necessari alla redazione della stima, che fornisce alcune informazioni preziose. Il Giardino aveva un muro lungo 177 piedi ferraresi (p.f.), pari a m.71,48, sul fronte stradale a nord, e un muro basso lungo 300 p.f. (m.121,15), alto 3,6 p.f. (m.1,4 ca) tutto attorno. Vi erano pilastri grandi, ordinari e piccoli ai lati del cancello sul fronte stradale e "due piedistalli delle statue poste nel viale di mezzo con sue statue di pietra cotta", ancor ben visibili nella mappa del Bertoni del 1821. Vi erano, inoltre, "Le quattro statue con li due gruppi di putini, vasi, e bocce tutto di marmo IN ornato dal Giardino..." a conferma che questo era proprio un giardino di rappresentanza, nel quale, a metà Settecento, erano ancora presenti statue e altri ornamenti in marmo, forse rimasti da sistemazioni del giardino più antiche.

La suddivisione spaziale del giardino posto fra Villa-Castello e Torre Colombaia non è nota, altro che per ciò che compare nella planimetria del Bertoni del 1821 Vedi n.13 in, che restituisce una suddivisione in sedici compartimenti quadrato-rettangolari, alternati a viali ortogonali, con due pilastrini al centro del giardino, e un cancello a quattro pilastri sul lato nord della strada. La fabbrica del Palazzo è contrapposta alla Torre Colombaia, isolata ed emergente al centro di una striscia prativa che si sviluppa da nord a sud, delimitata da un lato dallo Scolo del Verginese.

La suddivisione in riquadri regolari potrebbe essere una versione semplificata di un assetto precedente, di cui peraltro non vi è testimonianza, ma sicuramente è simile a quanto era consono approntare nei giardini di campagna alla fine del Settecento, e, sicuramente, anche in periodi precedenti. Si tratta di una configurazione tradizionale, tipica del brolo, ovvero giardino inerbito suddiviso in riquadri, con piantagioni di alberi da frutto lungo il perimetro di questi, e, a volte, anche all'interno delle aree prative, con disposizione a filari incrociati. La piantagione configurata in questa maniera permetteva di facilitare le pratiche di adacquamento per sommersione e quelle di manutenzione agronomica, spesso permettendo l'inserimento di specie orticole ai piedi degli alberi da frutto. La ben nota mappa del Giardino di Belriguardo (ca. 1590), testimonia la continuità di questa configurazione in questo territorio, che si pone a mezza via fra il giardino ornamentale e quello produttivo.

Un'immagine del Verginese.È possibile che il giardino cinquecentesco sia stato più articolato, anche se simile nella sua suddivisione spaziale di base, con alcuni compartimenti ulteriormente suddivisi in disegni ornamentali. Questo tipo di disegno, assai ricercato e bisognoso di manutenzione, sarebbe sicuramente scomparso alla prima difficoltà finanziaria del proprietario, dando corso a una comprensibile tendenza alla semplificazione. In attesa di nuova documentazione in merito al giardino, si può solo cercare di evocarne le caratteristiche più evidenti, la sua ripartizione geometrica, e il suo essere un giardino di campagna, dove la funzione ornamentale e quella produttiva spesso convergono.
Chi volesse scoprire i tesori nascosti della pianura ferrarese può intraprendere itinerari di ricerca in quelle zone che, sino a poco tempo fa, non erano inserite nei percorsi turistici tradizionali. Riscoprire il fascino particolare della pianura significa guardare attraverso un grand'angolo ideale, spaziare con l'occhio lontano, soffermandosi laddove elementi verticali si ergono dal piano.

Il Castello del Verginese era visibile a distanza dal lato di ponente attraverso l'imponente prospettiva settecentesca, ma lo è ancor oggi, se ci si pone a pochi chilometri di distanza in linea d'aria, a nord del Verginese e si volge lo sguardo verso mezzogiorno. Alla linea dell'orizzonte si sovrappone il profilo del Castello, di cui si vedono soltanto due delle quattro torri, e, poco distante, il volume della Colombaia, solitaria e bellissima. Si spera che l'intervento di riqualificazione di cui è oggetto il giardino, possa servire da richiamo per chi desideri approfondire la propria conoscenza con il Verginese e con il suo territorio.

Da Ada V. Segre